Senza il prodotto dell’uomo
non c’è festa
Anche la Mishnah, il più antico testo della nostra Halakhah, registra ripetizioni. Nel primo trattato che parla delle benedizioni (Berakhot 8,1), le scuole di Shammay e Hillel discutono sull’ordine con cui recitare le due benedizioni nel Qiddush del Venerdì Sera e delle feste. Bet Shammay ritiene che prima si debba recitare la benedizione sulla festa e poi quella sul vino. Egli argomenta che la festa ha la precedenza, perché se non fosse per essa non inizieremmo il pasto con il vino. Bet Hillel viceversa ritiene che la benedizione sul vino debba essere recitata per prima, seguita da quella sulla festa: il vino ha la precedenza, perché senza il vino non potremmo recitare il Qiddush per la festa. Bet Shammay ritiene che l’esperienza “religiosa” proceda dall’Alto verso il basso: si dà precedenza alla santificazione della festa, istituita da D. rispetto alla benedizione sul vino, fornito dagli uomini. Bet Hillel sposa la visione inversa. Il Servizio Divino è per lui un moto dal basso verso l’Alto: l’apporto umano motiva l’istituzione divina. La Halakhah segue, come è noto, l’opinione di Bet Hillel.
Lo stesso passo della Mishnah è nuovamente presentato alcuni trattati più avanti, nell’ultimo capitolo di Pessachim (10,2) dove si discutono le norme del Seder. Si presume che la Mishnah venga studiata nel suo ordine e pertanto chi affronti Pessachim conosca già Berakhot. A questo punto che senso ha la ripetizione? Risponde R. Moshe Zaccuto, Rabbino a Venezia e Mantova nel XVII secolo, eminente esperto di Halakhah e Qabbalah, nel suo commento alla Mishnah Qol ha-ReMeZ (lett. “voce dell’allusione”, parola formata dall’acronimo delle iniziali del suo nome). La Mishnah – scrive – ribadisce che il Qiddush della sera di Pessach all’inizio del Seder non è diverso da quello di tutte le altre feste. Anche in questo caso la Halakhah segue l’opinione di Bet Hillel. Che cosa ci avrebbe potuto indurre a pensare diversamente? Il fatto che il Qiddush del Seder (Qaddèsh) non è semplicemente la santificazione della festa. Esso è in realtà legato anche a un’altra Mitzwah: recitandolo noi beviamo il primo dei Quattro Bicchieri di vino che sono prescritti per la serata.
Che esista questa differenza ci è testimoniato da un’altra Halakhah: in tutte le altre occasioni noi non attendiamo l’uscita delle stelle per recitare il Qiddush, ma possiamo anticiparlo. Invece, la sera del Seder noi aspettiamo proprio che sia notte per cominciare, perché tutta la serata ruotava anticamente intorno al Qorban Pessach (sacrificio pasquale). Parlando del Qorban Pessach la Torah prescrive: “Ne mangeranno la carne in questa notte” (Shemot 12,8). Ne deriva che tutte le Mitzwot del Seder, compresi i Quattro Bicchieri, devono essere eseguite non prima dell’uscita delle stelle.
Ma per quanto riguarda il testo, il Qiddush di Pessach non è diverso dagli altri. Secondo R. Moshe Zaccuto la Mishnah vuole insegnarci che anche all’inizio del Seder noi recitiamo per prima la benedizione del vino, seguita da quella per la santificazione della festa. Che cosa ci avrebbe potuto indurre a pensare a un’eccezione? Il fatto che nei tre Bicchieri successivi la benedizione del vino è sempre recitata da ultimo, al termine delle parti della Haggadah cui si riferiscono: rispettivamente il Magghid, la Birkat ha-Mazon (Barèkh) e il Hallel. Il Qiddush segue invece la struttura di tutto l’anno.
Ora ci domandiamo: nell’ottica dei Quattro Bicchieri, perché il primo è diverso dagli altri? Perché nel Qiddush recitiamo la Berakhah del vino per prima e tutte le volte successive la releghiamo alla fine dei rispettivi atti? Si può solo immaginare una risposta, ricercandola nel significato che la nostra tradizione attribuisce ai Quattro Bicchieri. Il Talmud Yerushalmì (10,1) li mette in relazione con le Quattro Promesse di redenzione espresse da D. a Moshe all’inizio della sua missione presso il Faraone d’Egitto: “Vi farò uscire…, vi salverò…, Vi redimerò…, Vi prenderò quale mio popolo” (Shemot 6,6-7). I Quattro Bicchieri testimoniano un percorso di redenzione, che noi riviviamo ogni anno la sera del Seder. Chi ci ha liberato dall’Egitto? Il S.B. Lo riaffermiamo proprio all’inizio del Magghid: “se il S.B. non ci avesse tratto fuori di là…”! Il contributo umano alla liberazione c’è stato, ovviamente, ma solo in seconda istanza. L’iniziativa e il merito è stata del buon D., allo scopo di fare di noi il Suo popolo. In linea con questo ragionamento è giusto che la benedizione del vino, simbolo dell’iniziativa umana, venga pronunciata per ultima: testimoniamo così la priorità dell’intervento Divino.
In tutti i casi, eccetto il primo! D. non comincia un processo di salvezza se l’input non parte dall’uomo! I Maestri affermano che per questo motivo il S.B. comandò che la notte della liberazione i Figli d’Israel sacrificassero l’agnello e tingessero gli stipiti delle porte con il suo sangue. Affinché avessero eseguito una Mitzwah, il Dam Pessach appunto, che fornisse loro il merito per essere liberati (Yechezqel 16,6 e comm.). Siamo noi gli arbitri del nostro destino: D. ci aiuta senz’altro, dove non siamo in grado di far da soli. E se nulla possiamo, cerchiamo di acquisire meriti. Per questo la prima Berakhah del Seder, in assoluto, è proprio quella sul vino: senza il prodotto dell’uomo non c’è festa, non c’è liberazione.
Rav Alberto Moshe Somekh