Israele, la riforma si ferma dopo mesi di proteste
La notizia del giorno sui quotidiani italiani – con moltissime ricostruzioni, analisi e interviste, che dimostrano il valore del paese e la grande attenzione che i media gli dedicano – arriva da Israele: è l’annuncio da parte del Primo ministro Benjamin Netanyahu della sospensione dell’iter di approvazione della riforma della giustizia messa in piedi dal suo governo. Il titoli dei giornali danno il tono di quanto accaduto: “Israele, travolto dalle proteste Netanyahu rinvia la riforma”, scrive il Corriere della Sera. “Primavera israeliana – Il compromesso di Netanyahu”, la prima pagina de La Stampa con una grande foto delle bandiere israeliane sventolate in piazza dagli oppositori alla riforma. “La piazza ferma Netanyahu”, la sintesi di Repubblica, che sceglie uno scatto dall’alto di Tel Aviv stracolma di manifestanti. “Rivolta in Israele. E Netanyahu congela la sua riforma”, l’apertura del Giornale. “Il popolo è lucido e blocca il decisore” la prima pagina del Fatto Quotidiano con un fotomontaggio in cui si vede Netanyahu e dietro un’immagine della protesta.
La giornata israeliana. “Quando c’è la possibilità di evitare la guerra civile attraverso il dialogo, mi prendo una pausa per il dialogo”, ha detto Netanyahu annunciando lo stop alla riforma giudiziaria. Parole arrivate alla fine di una giornata di proteste e scioperi nazionali mai visti prima per numeri e adesioni. Una giornata iniziata in realtà domenica notte, come racconta Repubblica. “Domenica notte, dopo la notizia del licenziamento del ministro della Difesa Yoav Galant che si era espresso a favore dello stop alla riforma, centinaia di migliaia di persone erano scese in strada in tutto il Paese: dai boulevard di Tel Aviv ai kibbutz ai confini con Gaza, la scelta di mandare via l’uomo incaricato di proteggere un Paese che sulla sicurezza basa la sua esistenza, era stata la goccia che aveva fatto traboccare un vaso già pieno. La mobilitazione si era diffusa via whatsapp, straripando dalle chat dei riservisti (colonna portante dell’infrastruttura della difesa israeliana) a quelle dei diplomatici, fino ai gruppi dei vicini di casa e dei colleghi di lavoro. II risultato è che ieri mattina Israele si è svegliato paralizzato: i principali sindacati hanno dichiarato lo sciopero nazionale. Banche, ristoranti, uffici, scuole: tutto si è fermato. Nel giro di un’ora, i voli in partenza dall’aeroporto Ben Gurion sono stati bloccati: a quelli in arrivo è stato consentito di atterrare se erano già in volo, prima di arrivare a uno stop totale dello scalo. Nel frattempo, il presidente della Repubblica Isaac Herzog era intervenuto per chiedere ancora una volta il ritorno al dialogo: ‘Faccio appello al primo ministro, ai membri del governo e ai membri della coalizione per il bene dell’unità del popolo di Israele a interrompere immediatamente il processo legislativo’”. Mentre il paese era bloccato dagli oppositori alla riforma, scrive il Corriere, anche i sostenitori del governo si sono organizzati con una manifestazione a Gerusalemme. “Solo al tramonto, in un discorso alla nazione aperto dal racconto di re Salomone e delle due donne, il primo ministro dichiara di aver ‘interrotto il processo legislativo per raggiungere un consenso più ampio. Non possiamo avere una guerra civile’. – riporta il Corriere – La Knesset chiude per le festività ebraiche all’inizio di aprile, tutto rinviato a maggio. ‘Solo congelato – precisa Ben-Gvir – il nostro piano verrà alla fine approvato’. E aggiunge di aver ottenuto in cambio del via libera allo stop la creazione di una Guardia nazionale ai suoi ordini diretti”. A questo punto Repubblica dedica un approfondimento. “Una mossa – spiega il quotidiano – che riceve critiche aspre, e che dimostra la debolezza di fondo di Netanyahu che già era emersa durante i negoziati di coalizione quando tanto Ben Gvir quanto il leader del Partito Sionista Religioso Bezalel Smotrich erano riusciti a esigere un prezzo altissimo per il sostegno dei loro parlamentari, imponendo a Netanyahu addirittura di scorporare il Ministero della Difesa per offrire alcune delle sue responsabilità a Smotrich”.
La protesta. Tanti i racconti di cosa sia stata la protesta di questi mesi contro la riforma della giustizia. Tra i più efficaci, quelli di Barbara Stefanelli sul Corriere della Sera, che dà anche una sintesi dei motivi dello scontro. “Una marea biancoazzurra, ondeggiante, impressionante. È la visione delle piazze – a Tel Aviv, Gerusalemme e in decine di altre città israeliane – che l’occhio dei droni ha riverberato in tutto il mondo. E consegnato, esaltante o lacerante, nelle case e sugli schermi dello Stato ebraico. Quasi quattro mesi di manifestazioni, ogni volta centinaia di migliaia di persone, famiglie apolitiche fino al giorno prima accanto agli attivisti, ai rappresentanti delle opposizioni, ai più moderati tra gli stessi conservatori. Sempre di più. Gli organizzatori della protesta, espressione di un centrosinistra da anni sospettato di non capire il patriottismo, ammettono di aver così ritrovato e riabbracciato i colori della bandiera nazionale. Ed è questo richiamarsi alla stessa stoffa identitaria – prima reclamata in esclusiva dalle forze che fanno capo alle destre – a rendere la straordinarietà e la drammaticità di quanto sta avvenendo in un Paese che non ha mai affrontato una contrapposizione interna così radicale. All’origine dello scontro c’è quella che il premier Netanyahu definisce ‘una riforma necessaria’ per ristabilire gli equilibri nel sistema democratico e chi lo contesta chiama invece ‘un’incursione golpista’ su cui si innesta la deriva autocratica. In gioco ci sono soprattutto i poteri della Corte suprema, alla quale (in uno Stato senza Costituzione) spetta il ruolo di bloccare e respingere al mittente norme approvate dal Parlamento o decisioni amministrative”. A proposito delle proteste, su Domani Davide Assael sostiene che “salveranno la democrazia israeliana”. Una lunga analisi del direttore di Repubblica Maurizio Molinari presenta invece la storia israeliana attraverso i suoi contrasti interni (da Ben Gurion e Jabotinsky fino all’assassinio di Rabin): “forza politica e aggressività verbale delle manifestazioni ripropongono la dirompente energia che ha distinto i conflitti più aspri durante l’intera parabola ultracentenaria del movimento sionista, concludendosi sempre con un vincitore ed uno sconfitto. – la riflessione di Molinari – A rendere drammatico lo scontro è il fatto che, per gli opposti campi, ha in palio qualcosa che vale ancor più della riforma ovvero l’identità stessa della democrazia israeliana”.
Netanyahu. Anche i quotidiani di destra come il Giornale raccontano di un Netanyahu in difficoltà, costretto a fermare la radicale trasformazione del sistema giudiziario dopo le contestazioni arrivate da quasi tutti i settori della società. “Tutti gli errori di Bibi. Insistere senza sosta sulla riforma divisiva”, il titolo del Giornale. Nell’articolo si condivide la modifica – con accuse alla magistratura -, non la modalità. “Bibi ha lasciato che la riforma entrasse come un tank sulla scena politica: avrebbe dovuto apparire a capitoli lievi, sottoposta a discussione, senza sottovalutare i giudici, un’oasi di potere e consenso internazionale, la vera sinistra ideale di un Paese di cui il mondo non sopporta la guerra cui è costretto. Ha lasciato che il suo ministro Levin, tutto preso dalla sacra missione, dimenticasse di mostrare rispetto all’interlocutore”. Per il Corriere ora Netanyahu deve “mantenere l’impegno di ‘un consenso più ampio’, promesso ieri sera all’annuncio del rinvio della riforma”. “È l’ultima chiamata a non estinguere un lascito al Paese che anche i critici in parte gli riconoscono. Dalla risoluzione di questa crisi, che ha toccato ogni fibra democratica dello Stato, partiti e cittadini assieme, passa invece l’identità futura di Israele”. Per Gad Lerner sul Fatto Quotidiano “stavolta il solco che Bibi ha scavato dentro la società israeliana pare davvero difficile da colmare. Il movimento di protesta non si accontenterà di un rinvio. Alla prossima sessione parlamentare dovrà presentarsi con vere concessioni, se vuole durare”.
Per il Foglio Netanyahu “si salva da solo, se si salverà, ma è sicuramente degno di salvezza. Bibi Netanyahu in 14 anni ha dato parecchio al suo paese, e se anche avesse fumato sigari a scrocco e trafficato con i capitalisti dei media per il loro appoggio – direi – pazienza. Ha dato un’economia tecnologica fiorente contro tutto e tutti, ha dato sicurezza e ha impostato la controffensiva contro le pretese nucleari dell’Iran, ha patteggiato con il clown pericoloso della Casa Bianca per lo statuto di Gerusalemme capitale e altro di importanza non minore, compresi i patti con gli emirati, ha mantenuto e sviluppato una democrazia libertaria e fluida perfino esagerata, essendo un laico e un mangiatore di aragosta il venerdì, ha resistito per quattro volte in pochi anni al tentativo di seppellire lui stesso e la sua eredità politica, si è ripreso il governo dopo un anno di impossibile alternativa sperimentata con una coalizione maggioritaria scelta dagli elettori, piena di ceffi ultranazionalisti, baracconi e guasconi e tendenzialmente violenti, non proprio un esecutivo di gentiluomini”.
Le opposizioni. Foglio e Giornale raccontano di possibili aperture ora alle opposizioni. In particolare si guarda al Campo nazionale guidato dall’ex capo dell’esercito Benny Gantz. “Si potrebbe aprire – scrive il Giornale – anche uno scenario caratterizzato dalla possibilità che questa situazione altamente complessa possa trasformarsi per Netanyahu in un clamoroso balzo in avanti: smarcarsi dalla destra estrema, ricondurre Gantz a un rapporto che al tempo rifiutò e che costrinse Netanyahu a degli accordi che si sono rivelati non lungimiranti”. Diversi quotidiani riportano anche le posizioni di Yair Lapid, capo dell’opposizione e leader di Yesh Atid, più scettico rispetto alle aperture di Netanyahu.
Esercito. Sul Corriere ci si sofferma anche sul tema dell’esercito con le preoccupazione del capo di Stato maggiore Herzi Halevy per le divisioni generate dalla crisi interna e dalle ripercussioni sulla sicurezza nazionale. Preoccupazioni espresse anche all’ormai ex ministro della Difesa Galant, a sua volta ex generale e rispettato negli ambienti militari. “Per giorni Galant – riporta il Corriere – aveva cercato di ottenere la convocazione del consiglio di sicurezza per spiegare ai ministri più intransigenti che le defezioni nei ranghi stanno indebolendo l’operatività di Tsahal. Ci ha perso il posto. Rimangono i timori strategici degli ufficiali. Uno di loro, presentato come fonte anonima, di sicuro autorizzato dai vertici a parlar, ha convocato i giornalisti israeliani per avvertire che ‘gli avversari ci vedono deboli, calcolano che le nostre possibilità di risposta a un attacco siano limitate’”. Del tema dell’esercito parla ad Avvenire anche Yair Golan, parlamentare della sinistra di Meretz nonché ex capo di Stato maggiore. Secondo Golan “qualora, come proposto dalla cosiddetta riforma, la Corte Suprema venisse delegittimata dal potere esecutivo, i nostri soldati potrebbero correre il rischio di venire processati da altri tribunali internazionali. In secondo luogo, il semplice fatto di non sentirsi più tutelati dalla Corte Suprema potrebbe mettere in difficoltà, sul campo di battaglia, sia i soldati semplici che quelli di altro rango. E questo proprio sulle modalità operativa nel corso delle azioni militari, con tutte le conseguenze che questo comporterebbe sulla sicurezza dell’intero Paese”.
La voce degli scrittori. Il Corriere intervista Fania Oz-Salzberger, scrittrice e figlia del celebre autore Amos Oz. Contraria alla riforma, Oz-Salzberger sostiene che la protesta non si fermerà. D’altra parte non crede si arrivi a una violenza interna. “Come ho scritto con mio padre nel saggio Gli ebrei e le parole non abbiamo storicamente un’attitudine, un impulso, alla violenza tra di noi. E vero: in questo momento circolano in Israele molti piromani, ma i loro fiammiferi accesi cadono su terreno umido”. Diversa l’opinione di un altro scrittore israeliano Etgar Keret, intervistato da La Stampa. “Violenza sì, ne vedremo. Soprattutto a Gerusalemme. Ci sono già stati incidenti con i supporter del governo. D’altra parte, la narrativa della destra descrive noi manifestanti come nazisti da combattere. Non rispetta neppure i sopravvissuti all’Olocausto, ,che sono in piazza con noi. E chiaro che dobbiamo convivere, ma sta diventando sempre più difficile. Siamo tutti figli di Ze’ev Jabotinsky, che aveva come faro la legge, di Menachem Begin che considerava intoccabile la Corte Suprema, siamo figli una tradizione che è stata accantonata da un ebraismo “alla hezbollah”. In ballo c’è l’intera società israeliana”.
Daniel Reichel