Trieste, la cura tradita

Nei mesi più cupi dell’occupazione nazista, mentre le retate si moltiplicano e la violenza insanguina Trieste, il comprensorio di San Giovanni sembra al riparo dalle tempeste della Storia. È un ospedale, un luogo di cura e accoglienza. Un universo a sè, animato di vita propria e appartato dalla città. È facile illudersi di potersi sottrarre allo sguardo del nemico fra le mura di quel magnifico parco arrampicato lungo le pendici del colle.
Ogni speranza va in pezzi il pomeriggio del 28 marzo 1944 quando un gruppo di SS irrompe nei padiglioni, preleva i ricoverati ebrei e fra scene strazianti li porta via. I degenti dell’Ospedale psichiatrico insieme agli anziani dell’Ospedale dei cronici sono caricati su un’autocorriera e trasportati alla Risiera di San Sabba. Da qui il giorno dopo partono in direzione di Auschwitz dove sono gasati all’arrivo.
È una delle pagine più drammatiche dell’occupazione nazista che sarà rievocata giovedì 30 marzo alle 18 al Museo della Comunità ebraica “Carlo e Vera Wagner” in un incontro a cui prendono parte Helen Brunner, psicoterapeuta, che porterà la sua esperienza di discendente di uno dei deportati; Federica Scrimin, medica; Tullia Catalan, storica del Dipartimento di Studi Umanistici e referente scientifica del museo. Insieme a loro, lo psichiatra  Michael von Cranach che a partire dagli anni Ottanta ha denunciato in Germania gli orrori del programma nazista T4 che ha mandato a morte quasi centomila malati di mente ritenuti “immeritevoli di vivere” e lo psichiatra Lorenzo Toresini, fra i primi ad analizzare le cartelle cliniche dei deportati dall’OPP di Trieste.
Intitolato “La cura tradita – La deportazione dei ricoverati ebrei  dagli ospedali di Trieste durante l’occupazione nazista”, l’evento segna il lancio di una raccolta di fondi per finanziare una borsa di ricerca da svolgere presso gli archivi locali e nazionali, grazie a cui realizzare una targa da apporre il prossimo anno all’ingresso del comprensorio di San Giovanni. Se i fondi lo consentiranno, il progetto si estenderà agli altri istituti di cura cittadini dove il patto etico della cura e ogni umana pietà sono stati violati nel modo più atroce.
La deportazione degli ebrei dal comprensorio di San Giovanni non è infatti un episodio isolato. Negli stessi giorni le retate naziste si abbattono anche sull’ospedale Maggiore, la Maddalena e l’ospedale infantile Burlo Garofalo mentre due mesi prima sono stati deportati gli anziani degenti dell’Ospizio israelitico Gentilomo. Oltre un centinaio di ricoverati in queste strutture, di età compresa fra i pochi giorni e i novant’anni, imbocca così la via dei campi di sterminio. Nessuno sopravvive.
Nel caso dell’Ospedale psichiatrico, la dimensione del manicomio e della persecuzione razziale si saldano in un parossismo di brutalità. Nelle cartelle cliniche dei deportati, ormai ingiallite dal tempo, si ritrovano storie di sofferenza psichica che corrono indietro nel tempo, ricoveri coatti, le angosce di chi sente la trappola stringersi intorno a sé e il tentativo disperato di chi non ha bisogno di cure ma nell’ospedale, con l’aiuto di alcuni medici, cerca scampo dalla persecuzione nazifascista.
Per tutti il manicomio si rivelerà invece il luogo dove sul malato, segregato e alla mercè di tutti, può esercitarsi il massimo della violenza. Al loro arrivo le SS vanno a colpo sicuro. In obbedienza alle regole, ogni cartella clinica riporta sul frontespizio la “religione israelitica” del ricoverato. Il primario protesta in forma ufficiale e così il vescovo ma saranno le uniche deboli reazioni e la vicenda in qualche modo sfuma fra gli orrori che segnano quel periodo.
Le famiglie però non dimenticano e la burocrazia a suo modo registra l’accaduto. “Dimissione: il dì 28/3/44”, riporta la cartella clinica di ciascun deportato. “Modalità: Prelevato manu militari da formazioni delle SS. Parte per destinazione ignota”. E in una sorta di macabra ironia l’anonimo estensore compila anche l’ultima casella relativa all’“esito della degenza” che tutti risulta “invariato”.
L’incontro si tiene al Museo ebraico in via del Monte 7 e su Zoom (ID riunione 891 6199 2689, passcode 881232).

Daniela Gross, Il Piccolo, 28 marzo 2023