Prepararsi a Pesach

La parashà di Zav è la seconda parashà del libro di Vaikrà; come la prima, quella che abbiamo letto lo scorso Shabbat, continua a descrivere i sacrifici che dovevano essere offerti nel Mishkan e in seguito nel Tempio di Gerusalemme. Nel descrivere il mizbeach, l’altare dove venivano bruciati i sacrifici, la Torà insegna qualcosa che, nonostante l’ormai non consueta pratica dei sacrifici, è tuttora il simbolo del nostro popolo.
È scritto “esh tamid tukad ‘al hamizbeach lo tichbè – un fuoco eterno brucerà sul mizbeach (altare) non lo spegnerai”.
Secondo l’interpretazione letterale tutto fila regolarmente: il fuoco che ardeva sull’altare del Tempio non doveva essere mai spento.
Nella Mishnà infatti vengono descritte le mishmarot – i turni – che venivano fatti dai Cohanim per sorvegliare che il fuoco che ardeva sul mizbeach fosse sempre acceso. I Maestri ci spiegano che non era un fuoco vivo, ma dei grossi tronchi di legno formavano una sorta di brace ardente, sul quale venivano bruciati i sacrifici, sia animali che farinacei. Se razionalmente questo ricorda il periodo dei sacrifici, intimamente ci insegna che il fuoco è l’eternità, quella cosa che, se alimentata costantemente, non finisce mai. Così è la Torà e il popolo ebraico che, se osserverà le sue leggi, mettendole in pratica e insegnandole ai propri figli, tramandando loro le millenarie tradizioni, saranno eterni come il fuoco del mizbeach.
Le tradizioni del nostro popolo hanno la forza di mantenerci in vita, nonostante i molteplici tentativi di annientamento da parte dei nostri nemici, come noi, da ormai tremila anni circa, facciamo riguardo la storia della schiavitù egiziana, attraverso l’osservanza della festa di Pesach e la lettura della haggadà.
Non a caso la parashà di Zav cade nella maggior parte degli anni il sabato che precede la festa di Pesach e che i nostri Maestri hanno denominato “Shabbat ha gadol”, non il sabato grande (altrimenti avrebbe dovuto essere shabbat ha ghedolà – perché il termine shabbat è femminile), ma il “Sabato del grande”, ossia del grande evento, che è quello a cui assistettero i nostri padri in Egitto, quando fu comandato loro di prepararsi all’abbandono di quel Paese, mentre i primogeniti egiziani stavano morendo, colpiti dall’Angelo della morte. È il sabato in cui si trascorre più tempo in Tempio, per ascoltare dal Rabbino e dai Maestri e studiare tutte le regole che riguardano la preparazione alla festa che sta per entrare.
Una breve spiegazione riguardo l’augurio che, a differenza delle altre festività, ci scambiamo prima e durante la festa: “pesach kasher ve sameach – una Pesach idonea e gioiosa”.
Solitamente per le altre festività ci auguriamo “chag sameach” o “mo’adim le simchà”; per Pesach si sottolinea l’osservanza della kasherut.
Qualcuno potrebbe chiedersi: “Perché durante le altre feste la kasherut è facoltativa?”.
La risposta è che la kasherut di Pesach è molto più complessa di quella delle altre festività o addirittura degli altri giorni.
Per Pesach è prevista una serie di pulizie della casa, completamente diverse e assai più approfondite di quelle, seppur importanti, delle altre festività o occasioni varie.
La trasgressione ai vari divieti che riguardano il cibarsi o possedere il chamez, prevede la pena più rigorosa – il caret – la pena capitale – pena proveniente direttamente da D-o, prevista soltanto per la trasgressione di pochissimi casi (fra cui il cibarsi di chamez a Pesach), considerati gravi, non solo per chi li commette, ma anche per la società che assiste a un simile comportamento. È per questo che non basta fare di propria iniziativa, ma è necessaria la collaborazione e le varie spiegazioni di una persona esperta, per non incappare nell’errore, di D-o ne guardi, di trovarsi in possesso di chamez o cosa che possa richiamarne la sua somiglianza, nel periodo della festa.
Si usava nell’antichità trascorrere molte ore più del consueto, nelle varie Sinagoghe, durante questo sabato, per ascoltare e chiedere delucidazione ai Maestri, su come comportarsi correttamente nella preparazione alla festa e soprattutto per non commettere errori.
Possa il Signore renderci meritevoli di aver preparato per la festa di Pesach e per aver osservato le sue regole in modo scrupoloso e rigoroso, degni di quelle che furono le vicende che i nostri padri in Egitto vissero, con l’ideale di essere un popolo libero e degno del nome che portiamo: Israel.
Shabbat shalom e Pesach kasher ve sameach.

Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Venezia