Il dossier di Pagine Ebraiche
Varsavia e gli eroi della libertà

“Mentre eravamo sui tetti pronti a combattere, non pensavamo a salvarci. Oramai la vita non aveva più alcun valore. Pensavamo a difendere la libertà, per un’ultima volta”. Così Simcha Rotem, nome di battaglia Kazik, ricordava la rivolta del Ghetto di Varsavia di cui fu uno dei protagonisti, tra i pochissimi sopravvissuti (si salvò in circostanze rocambolesche, fuggendo attraverso i condotti di scarico della città) e l’ultima voce a spegnersi nel dicembre del 2018. Ogni primavera, nel giorno dell’insurrezione, il narciso giallo simbolo di quelle giornate di coraggio si diffonde per le strade della capitale polacca. Un messaggio e un monito, in un Paese in cui la Memoria e l’esercizio libero della ricerca storica incontrano molti ostacoli.
Quest’anno la celebrazione avrà un significato in più, trattandosi dell’ottantesimo anniversario di quel 19 aprile che, nel calendario ebraico, ha contribuito a ispirare l’istituzione di Yom HaZikaron laShoah ve-laG’vurah: il giorno che lo Stato d’Israele e l’ebraismo diasporico dedicano al ricordo della Shoah, tra cerimonie di grande intensità emotiva e il suono lacerante delle sirene che interrompono, per alcuni minuti, ogni azione e attività.
La rivolta del Ghetto di Varsavia, cui è dedicato il dossier centrale del numero di Pagine Ebraiche in distribuzione, è uno degli eventi più noti e studiati del periodo della Shoah. Un’elaborazione ininterrotta che ha visto compiersi, nel suo nome, gesti passati alla Storia. Come la scelta di Willy Brandt, il cancelliere tedesco, di inginocchiarsi davanti al monumento ai caduti in una storica cerimonia tenutasi nel 1970. “Posto di fronte all’abisso della storia tedesca e al peso dei milioni di persone che furono uccise, ho fatto quello che noi uomini facciamo quando le parole ci mancano”, scriverà poi nelle sue memorie. Yitzhak Rabin, allora primo ministro d’Israele, in un altro memorabile intervento nel cinquantesimo anniversario dall’insurrezione proclamerà gli insorti di Varsavia “i custodi di una fiamma di dignità umana”, ricordando come – nonostante la certezza della fine imminente – “abbiano perseverato e vinto”.
Un’eredità sulla quale è ancora necessario interrogare le fonti e le coscienze. Un aiuto arriva dallo straordinario ritrovamento veicolato dal Polin, il museo della storia degli ebrei polacchi sorto nell’area un tempo occupata dal ghetto, che in gennaio ha presentato una ventina di fotografie inedite relative alla repressione esercitata dai tedeschi contro Mordechai Anielewicz, Marek Edelman e le altre centinaia di insorti, opera di un giovane pompiere che fu chiamato ad intervenire dalle SS affnché gli incendi appiccati non si estendessero all’esterno del ghetto. Immagini che rappresentano un unicum per via della loro autenticità ed estraneità alle dinamiche della propaganda nazista. E anche per questo accolte con grande risalto dalla stampa internazionale. “Le immagini di quella gente trascinata fuori dai loro rifugi resterà con me per tutta la vita” scriverà in seguito l’uomo, che si chiamava Zbigniew Leszek Grzywaczewski, in una testimonianza sotto forma di diario. È stato il figlio Maciej a ritrovare quegli scatti clandestini, un segno indelebile nella vita del padre, e a decidere di condividerli pubblicamente. Andranno ora a comporre una mostra che il Polin inaugurerà alla vigilia dell’anniversario della rivolta del Ghetto, intitolata “Intorno a noi un mare di fuoco”.
All’interno del dossier di Pagine Ebraiche interviste, approfondimenti e recensioni.

(Nell’immagine: la presentazione degli scatti inediti sulla Rivolta del Ghetto di Varsavia)