“Lo Yiddish ha ancora molto da dare”

Nel 1978 Isaac Bashevis Singer riceveva il premio Nobel per la Letteratura. Un riconoscimento, spiegava, che era anche un tributo alla lingua yiddish. Di seguito alcuni brani di quell’intervento: “L’alta onorificenza conferitami dall’Accademia di Svezia è anche un riconoscimento della lingua yiddish una lingua di esilio, senza terra, senza frontiere, non sostenuta da alcun governo, una lingua che non possiede parole per armi, munizioni, esercizi militari, tattiche di guerra; una lingua disprezzata sia dai gentili che dagli ebrei emancipati. La verità è che ciò che le grandi religioni predicavano, la gente di lingua yiddish dei ghetti lo praticava giorno per giorno. Erano il popolo del Libro nel vero senso della parola. Non conoscevano gioia più grande dello studio dell’uomo e delle relazioni umane, che chiamavano Torah, Talmud, Mussar, Cabala. Il ghetto non era solo un luogo di rifugio per una minoranza perseguitata, ma un grande esperimento di pace, di autodisciplina e di umanesimo. […]
Nella nostra e in molte altre case le domande eterne erano più attuali delle ultime notizie del giornale yiddish. Nonostante tutte le disillusioni e tutto il mio scetticismo, credo che le nazioni possano imparare molto da quegli ebrei, dal loro modo di pensare, di educare i figli, di trovare la felicità dove gli altri non vedono altro che miseria e umiliazione. Per me la lingua yiddish e il comportamento di coloro che la parlavano sono identici. Nella lingua yiddish e nello spirito yiddish si possono trovare espressioni di gioia devota, desiderio di vita, desiderio del Messia, pazienza e profondo apprezzamento dell’individualità umana. C’è un umorismo tranquillo nello yiddish e una gratitudine per ogni giorno di vita, ogni briciola di successo, ogni incontro d’amore. La mentalità yiddish non è altezzosa. Non dà per scontata la vittoria. Non pretende e non comanda, ma si confonde, si insinua, si nasconde tra le potenze della distruzione, sapendo da qualche parte che il piano di Dio per la Creazione è ancora all’inizio.[…]
Alcuni definiscono l’yiddish una lingua morta, ma anche l’ebraico lo è stato per duemila anni. Nel nostro tempo è stata riportata in vita in modo straordinario, quasi miracoloso. L’aramaico è stato certamente una lingua morta per secoli, ma poi ha portato alla luce lo Zohar, un’opera mistica di valore sublime. È un fatto che i classici della letteratura yiddish sono anche i classici della letteratura ebraica moderna. Lo yiddish non ha ancora detto la sua ultima parola. Contiene tesori che non sono stati rivelati agli occhi del mondo. Era la lingua dei martiri e dei santi, dei sognatori e dei cabalisti, ricca di umorismo e di ricordi che l’umanità non potrà mai dimenticare. In senso figurato, lo yiddish è la lingua saggia e umile di tutti noi, l’idioma dell’umanità spaventata e speranzosa”.