Arte e Memoria, le strade del ricordo

Tra annichilimento e impegno etico si pone, fin dal titolo, il libro che Laura Quercioli Mincer (A testimoni il cielo e la terra. Arte, nazione e memoria in Polonia e in Germania. 2002-2020, Genova University Press 2023, 263 pp., libro open access) dedica con rigore e passione al rapporto tra arte e memoria: è il richiamo a un passo del Deuteronomio che guida ad un agire benedetto dalla consapevolezza: “Io chiamo a testimoni per voi oggi il cielo e la terra; io ho posto davanti a voi la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli la vita, onde viviate tu e la tua discendenza”.
Sulle possibilità di questa proiezione etica verso il futuro vengono interrogati artisti (conbrevi incursioni in Italia e Israele) dei paesi dell’Europa centrale che sono stati irrimediabilmente segnati dalla violenza: terre “contaminate” – così le definisce Martin Pollack nel libro dedicato alla spettrale geografia del rimosso – da guerre logoranti, aggressioni sanguinose, conflitti e vittime, ma soprattutto regioni nelle quali si è consumata gran parte della esperienza centrale e traumatica della Shoah. Secondo la contestata definizione di Raul Hilberg polacchi e tedeschi hanno avuto atteggiamenti diversi rispetto alla carneficina: la Polonia si è voluta considerare con zelo autoassolutorio Paese dei testimoni, la Germania, inevitabilmente, il Paese dei perpetratori, ma in entrambi è stata forte la tentazione di dimenticare la vergogna dello sterminio: “Il passato collettivo dei polacchi e dei tedeschi è afferma l’autrice certamente unito, in modo anche speculare, dall’onta di Auschwitz, dalla difficoltà di prenderne atto”, mentre il presente appare violentemente contaminato dalle sue tracce perché “il mondo materiale dopo lo sterminio”, secondo uno dei maggiori artisti polacchi viventi che il libro ripetutamente interroga, Mirosław Bałka, “è un mondo nel quale non esistono più oggetti innocenti, non esistono più oggetti familiari”.
Per questa ricognizione tra il passato della violenza e il difficile presente della sua elaborazione l’autrice connette saggi scritti nell’arco di diversi anni (dal 2017 al 2021), ispirati ad opere d’arte di autori – soprattutto Gerhard Richter, Anselm Kiefer, Mirosław Bałka e Elzbieta Janicka – che, prigionieri di esperienze che non hanno vissuto, ma dal quale sono stati travolti, hanno sentito l’esigenza di confrontarsi col trauma, “ricrearlo, riciclarlo”: dalla carneficina dei nazisti e dei loro alleati fino alle violenze di anni più recenti, misurandone la forza narrativa, la genesi stilistico/concettuale, ma anche l’impatto sociale all’interno della riflessione più ampia sulle forme e le prospettive dell’arte contemporanea.
Analizza mostre e opere di artisti tedeschi e polacchi visitate tra Roma, New York, Varsavia e Berlino, sia quelle accompagnate da plauso generale che quelle seguite da scandali e polemiche, scandaglia le testimonianze di esperienze creative conservate in cataloghi e iconotesti e ripercorre i dibattiti, anche accesi, che hanno accompagnato progetti e realizzazioni. Tutti i saggi raccolti da Laura Quercioli, scrive Andrea Cortellessa nella densa introduzione, “sono infatti viaggi personali (volendo dar loro un’etichetta convenzionale dovremmo ascriverli – a dispetto delle puntuali bibliografie delle quali si presentano corazzati – alla tipologia del personal essay) in una terra devastata”. Incontriamo così tra le pagine trascinanti del volume artisti notissimi o ancora poco conosciuti; viviamo lo scandalo della mostra Mirroring Evil al Jewish Museum di New York nel 2002; poi, con una deviazione solo geografica, approdiamo alle rovine di Ostia antica per la Biennale di arte contemporanea Arteinmemoria, per tornare al centro dell’Europa con lo scambio di parole, immagini ed emozioni dell’incontro del 2011 a Leeds tra Zygmunt Bauman e Mirosław Bałka. Molte le opere e i progetti descritti con sensibilità e competenza: tra tutti spiccano due opere seminali: I Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefer allo HangarBicocca di Milano e Birkenau di Richter collocata sulla parete nord dell’edificio del Reichstag di Berlino, studiate nel dettaglio con il supporto di un vasto apparato critico. In appendice ritroviamo le tracce di una riflessione che accompagna da molti anni la ricerca di Laura Quercioli Mincer: le carceri come luogo di memoria, tra Varsavia e Berlino e Roma. Sulla problematica bellezza di questa arte che tematizza l’Olocausto e sulla liceità del godimento estetico quando si commemorano ingiustizia e violenza si chiude idealmente il libro: “Possiamo forse sintetizzare che sia certamente barbarie scrivere lirica che ‘non parli’ di Auschwitz […]: qualsiasi arte che non ‘parli’ anche con voce etica è barbara. Ma ciò che resta non menzionato, non descritto, non raffigurato[…] ciò che è informe, o anzi ontologicamente contrario alla forma, è il Male. Prendendo dei contorni (e nel nostro caso: una forma artistica), accettando una definizione, anche il Male assoluto può venir delimitato: forse non compreso ma, interiorizzandolo, combattuto”.

Roberta Ascarelli