La Torah nei giorni più bui
Il rabbino Kalonymus Shapira, noto come il Rebbe di Piaseczno, nacque in Polonia nel 1889 in una famiglia di antica tradizione chassidica che poteva vantare fra i suoi antenati illustri Maestri fra cui Rabbi Elimelekh di Lizensk, il Veggente (Chozeh) di Lublino, il Magghid di Koznitz. Il padre, Rabbi Elimelekh di Grodzisk, autore di Imré Elimedi lekh e Divré Elimelekh, morì quando Shapira aveva appena tre anni. Pure la madre, Channah Berakhah, esercitò una notevole influenza nella comunità chassidica locale. Mondo in cui anche il figlio presto si sarebbe distinto per la qualità degli studi e l’intensità dell’azione educativa. Fondando ad esempio, in onore del suocero morto da poco, una yeshivah. La più grande scuola religiosa ebraica dell’intera Polonia nel periodo che precedette la seconda guerra mondiale. Un Maestro e una guida anche nell’abisso, nei giorni più bui dell’e braismo polacco ed europeo. Quando a Varsavia venne istituito il ghetto continuò infatti a guidare i suoi discepoli, adoperandosi sia spiritualmente che materialmente. Deportato nel “campo di lavoro” di Trawniki, fu poi fucilato insieme ad altri compagni di prigionia.
“Nuovi responsi di Torà dagli anni dell’ira” è il testo che contiene le sue omelie di quel drammatico periodo, pubblicato in Italia da Giuntina.
Uno sguardo d’insieme che, scrive Daniela Leoni nella introduzione, “trascina il lettore in un mondo in cui l’uomo non è sconfitto, non è abbruttito né dissolto”. Le parole di Torà proferite dal rabbino sono in questo senso capaci di dare la vita e di essere un baluardo contro la morte e la persecuzione perché, si attesta, “non esprimono disperazione, non descrivono le brutalità, la malvagità e la disumanità del nazismo”. Testimonianza viva, al contrario, di una certezza “che anche l’uomo di oggi ha bisogno di sentire confermata: Dio è ancora colui che ha in mano il corso della storia”. Diverse e complementari le prospettive con cui guardare a quest’opera. La prima, suggerisce Leoni, “ci porta ad accostare questo testo non come un diario e in un certo senso nemmeno come ‘un testamento di fedeltà alla Torà e alla tradizione di fronte ad un nemico che vuole distruggere entrambe’; piuttosto esso ci immette in un cammino spirituale, il percorso di vita che Shapira compie nel mondo misterioso e così personale della fede e della comunione con Dio”. Per chi sa leggere tale cammino in profondità, esso si trasforma così “in vero insegnamento”.
Un concetto cardine. Non a caso, ricorda Leoni, il chassidismo “ripete con insistenza che la funzione fondamentale del rebbe tzaddik è insegnare e insegnare non è un semplice trasferimento di informazioni e di conoscenze, ma una condivisione profonda di anime”.