Articolo 3, l’impegno di includere
La Costituzione, arrivata dopo il fascismo e la persecuzione antiebraica, rappresenta il cardine della democrazia italiana. E il suo articolo 3, in cui si sancisce l’uguaglianza e la pari dignità dei cittadini, ne è elemento fondamentale. Ma, a settantacinque anni dall’entrata in vigore della Carta, è necessario chiedersi a che punto sia il nostro paese nell’applicazione e nel rispetto dell’articolo 3. Da questo interrogativo ha preso il via a Torino il percorso “Articolo 3, diversi tra uguali” promosso dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in collaborazione con il Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah – Meis. Un progetto a sei tappe aperto dal confronto al Polo del ‘900 tra Daniela Dawan, giudice di Cassazione e scrittrice, e Gherardo Colombo, già magistrato e presidente di Garzanti, moderati dal direttore de La Stampa Massimo Giannini.
“Iniziamo qui a Torino un percorso nel quale gli ebrei, sulla base della loro esperienza di difesa dei diritti e anche delle loro ferite, propongono un dialogo sull’uguaglianza con la consapevolezza che siamo di fronte a un’incertezza della nostra democrazia e della nostra convivenza civile”, ha evidenziato in apertura Saul Meghnagi, consigliere e coordinatore della commissione Cultura UCEI, dopo il saluto del presidente del Polo del ‘900 Alberto Sinigaglia.
Il ciclo di incontri dedicato all’articolo 3, ha rilevato il presidente del Meis e della Comunità ebraica di Torino, Dario Disegni “vuole rappresentare un forte richiamo e una indispensabile sensibilizzazione in una fase storica in cui questi valori non possono purtroppo essere considerati acquisiti definitivamente nelle coscienze e nei comportamenti dell’intera popolazione, ma devono essere difesi e ribaditi incessantemente giorno dopo giorno”. Non solo, il percorso nelle sei città italiane – dopo Torino, Roma il 2 maggio, poi Venezia, Napoli, Milano, Ferrara e Firenze – sarà anche occasione per porre “l’accento sul diritto alla diversità, inteso come riaffermazione delle specificità religiose e culturali di ciascuna componente della nostra società, che devono tutte essere salvaguardate, e che nel dialogo possono contribuire all’arricchimento culturale della Nazione”.
Proprio l’equilibrio tra uguaglianza e diversità è il baricentro dell’articolo 3, ha spiegato Gherardo Colombo. Un articolo 3 che “è la Costituzione. Ci dice che tutti quanti siamo importanti come gli altri. E che qualsiasi nostra caratteristica non può creare discriminazione. Il resto è applicazione di questo articolo”.
Questa uguaglianza tutelata dalla Carta non riguarda le persone, la riflessione dell’ex magistrato, “che non sono uguali. È evidente: siamo tutti diversi. Ma l’uguaglianza riguarda le possibilità. Queste sì devono essere uguali davanti alla legge”. Si tratta di una cambio di prospettiva. “Le nostre diversità che fino a quel momento erano penalizzate, sono tutelate. Si rovescia il modo di stare insieme”. Una rivoluzione, considerando come “per millenni la discriminazione sia stata considerata un valore”. Una discriminazione che gli ebrei hanno vissuto, con gravi ferite, sulla propria pelle, ha evidenziato Daniela Dawan, ricordando la propria storia personale. Fuggita dalla Libia nel ’67 a causa delle violenze antiebraiche, sia lì che poi in Italia alla sua diversità veniva attribuita un’accezione negativa. Ma la cultura ebraica, ha aggiunto, può aiutare a un cambio di prospettiva. “Nessuno è straniero per noi”, ha sottolineato ricordando il passaggio dell’Esodo: “Non opprimere lo straniero: voi infatti conoscete l’animo dello straniero, perché foste stranieri in terra d’Egitto”. Un passo che “ricorda come l’altro sia parte di noi”. Da qui il rafforzarsi dell’importanza di tutelare uguaglianza e diversità, così come chiede l’articolo 3 della Costituzione.
“Ma i principi della Carta trovano realizzazione?”, l’interrogativo di Giannini ai relatori. “In questo periodo – la valutazione del direttore de La Stampa – stiamo assistendo ad una campagna cattivista, nella quale non si rimovono ostacoli al diritto di uguaglianza, ma se ne mettono”.
Per Dawan il problema supera il tema di governo e opposizione, ma è la classe politica ad aver fallito nell’applicazione dei principi costituzionali. Una crisi istituzionale non solo italiana. “Dall’America all’Europa, oggi stiamo assistendo allo scardinamento della classe politica. Pretendiamo troppo da gente che non è in grado di fare: maggioranza o opposizione che siano”.
Mentre sull’attuale maggioranza la preoccupazione della giudice della Cassazione è anche per l’approccio alle responsabilità del fascismo sulla storia italiana. “È in corso un processo di minimizzazione di ciò che è accaduto”, il suo allarme, agganciato a una preoccupazione per un linguaggio sempre più violento. “In nome della libertà di opinione si dicono cose che non si dovrebbero dire. La libertà non è e non può essere quella di offendere”. Una deriva comunicativa che crea un terreno fertile per discriminazione e intolleranza, che il paese ha conosciuto al suo apice negli anni del regime fascista. “Io mi domando come fu possibile espellere gli ebrei da una società nella quale erano perfettamente integrati? – l’interrogativo di Colombo – Evidentemente c’era qualcosa che covava sotto la cenere e che è stato liberato”. Una pulsione del capro espiatorio, ha confermato Giannini, che non è scomparsa dalla società italiana. “C’è ancora oggi la necessità di avere un nemico: sembra sia comunissima. Come se non fossimo capaci di identificarci senza avere un contrario – ha proseguito Colombo – Ma come possiamo salvarci da questo? Nel riconoscere l’altro. Una risposta che credo abbiano dato in questi termini coloro che hanno scritto la Costituzione: non possiamo salvarci se anche soltanto uno viene escluso, come ci dice l’articolo 3”.