L’orsa Ji4 e la Halakhah

“E uscirono due orse dalla boscaglia e sbranarono quarantadue dei ragazzi…” (2Melakhim 2,24).
Non fu, ahimè, un episodio isolato. L’opinione pubblica è oggi divisa sulla sorte di Jj4, l’orsa che ha recentemente ucciso un ventiseienne in Val di Sole, dopo aver ferito gravemente altre persone in passato. Il suo branco è stato importato nel 2000 dalle autorità locali per un progetto di ripopolamento faunistico del Trentino occidentale finanziato dalla Comunità Europea. Tenterò una lettura della questione ai sensi della Halakhah, senza togliere ad altri il compito di trovare una soluzione adeguata. Esprimo anzitutto la mia solidarietà alla famiglia in lutto.
L’orso è nominato nel Tanakh tredici volte, spesso associato al leone. In Eykhah 3,10 è usata la metafora “orso insidiatore”. Nella profezia messianica di Yesha’yahu (11,7) si prospetta che “la mucca e l’orso pascoleranno insieme”: la mitezza della prima ridimensiona l’aggressività del secondo. I Maestri del Talmud (Qiddushin 72a) paragonano i Persiani per certi loro comportamenti grossolani all’orso, animale goffo che si muove senza posa. Altre volte l’orso diviene addirittura simbolo della tentazione (Bereshit Rabbà 87,3).
L’indole pericolosa dell’orso è riflessa nelle fonti halakhiche fin da antico. Tre sono i passi della Mishnah che ci interessano in particolare. In ‘Avodah Zarah 16a i Maestri hanno proibito la vendita di orsi e leoni a non ebrei al pari delle armi, a prescindere dalla loro nocività individuale (Maimonide, Hil. ‘Avodah Zarah 9,8 e Lechem Mishneh ad loc.). Seguendo questa logica l’iniziativa delle autorità trentine di reintrodurre gli orsi in regione è per lo meno discutibile. Se, come vedremo, estinguere gli animali è proibito, non c’è peraltro alcun obbligo di rimpiazzare specie pericolose laddove siano già estinte, quale che ne sia stata la causa: soprattutto mettendoli di fatto a contatto con l’uomo, come attesta la cronaca.
Una seconda fonte della Mishnah è in Bavà Qammà 15b, dove si parla di risarcimento di danni inferti dagli animali attraverso la loro aggressività. La materia è chiamata qèren (“corno”) dal fatto che la Torah stessa li esemplifica attraverso il toro cozzatore (Shemot 21,28-29), ma nel caso di specie differenti include anche graffi e morsi. La regola prevede che fino a tre episodi il toro non sia considerato di indole violenta (tam, lett. “ingenuo”) e obbliga il padrone a rifondere solo metà del danno. Se l’animale è tre volte recidivo diviene invece “avvertito” (mu’àd): il padrone avrebbe dovuto trarne le proprie responsabilità ed è chiamato a ripagare il danno per intero. Ciò vale per un animale domestico, mentre si afferma che “il lupo, il leone, il leopardo, l’orso, la pantera e il serpente” sono mu’adim per definizione. R. El’azar propone di distinguere anche fra questi gli esemplari addomesticati, ma la Halakhah non accoglie la sua opinione: si presuppone che le bestie feroci non siano addomesticabili e i danni da esse provocati vanno in ogni caso risarciti per intero (Maimonide, Hil. Nizqè Mamòn 1,5).
Infine in Sanhedrin 15b si torna a parlare della sorte dei sei animali selvatici nell’ambito di una discussione sulla competenza dei tribunali di infliggere pene. Il Talmud riporta due controversie: 1) se un animale feroce debba subire regolare processo (R. ‘Aqivà) o no (R. Eli’ezer); 2) se l’opinione di R. Eli’ezer per cui chiunque può uccidere un animale feroce si applica solo dopo che l’animale abbia effettivamente ucciso a sua volta (Reish Laqish) oppure anche prima (R. Yochanan): nella prima ipotesi si suppone che l’animale sia addomesticabile fino a prova contraria; nella seconda lo si considera violento per definizione (Rashì). Meirì ritiene invece che si tratti di un’unica controversia (R. ‘Aqivà=Reish Laqish e R. Eli’ezer=R.Yochanan) e che la questione sia se l’animale feroce vada considerato proprietà di chi lo alleva o invece alla stregua di “una buca nel suolo pubblico”: nel primo caso deve intervenire regolare processo; nel secondo l’animale può essere ucciso da chiunque, ma comunque il proprietario paga i danni. Maimonide (Sanhedrin 5,2) stabilisce la Halakhah secondo l’opinione di R. ‘Aqivà attraverso quella di Reish Laqish, per cui qualsiasi animale feroce addomesticato (con la sola eccezione del serpente) va trattato alla stregua del toro: può essere ucciso solo se ha ucciso a sua volta e dopo regolare processo a carico dei proprietari. Resta ancora da capire perché in Sanhedrin si ammetta la possibilità di ammaestrare l’orso e in Bavà Qammà no: un conto è il risarcimento della vittima, che richiede il massimo della disponibilità nei suoi confronti, altro conto è l’abbattimento degli animali (Tossafot s.v. we-R. Yochanan): “certamente inseguirli nei boschi dove hanno le tane se non vengono di loro iniziativa nei centri abitati non è affatto Mitzwah, bensì solo soddisfazione dei propri capricci” (Resp. Nodà’ Bihyudah II ed., Yoreh De’ah n. 10).
In sintesi: 1) è lecito sopprimere l’esemplare assassino, inibendo il suo raggio d’azione all’accesso degli uomini fino ad abbattimento avvenuto; 2) le autorità responsabili della riammissione degli animali risarciscano la famiglia colpita in misura adeguata: nessuno le restituirà il ragazzo, ma la sua morte non può essere considerata una semplice fatalità; 3) per il resto del branco occorre studiare attentamente, di concerto con esperti, la soluzione migliore a tutela dell’incolumità di tutti, uomini e animali, affidando questi anche a una riserva recintata (Resp. Yechawweh Da’at 3,66; Resp. ‘Asseh lekhà Rav 1,69). Come dice il versetto: “la Sua misericordia è su tutte le Sue creature” (Tehillim 145,9)!

Rav Alberto Moshe Somekh