Yiddish, lingua viva

La letteratura yiddish di cui si è parlato nei recenti interventi su Pagine Ebraiche è la celebrazione di un mondo che fu. Per certi versi ciò è vero. Buona parte degli ebrei della Polonia, Bielorussia e Lituania che parlavano yiddish sono stati trucidati nella Shoah.
Ma ciò che non è stato menzionato è che, pur ridimensionato nei numeri e traslocato altrove, questo mondo e la sua lingua, l’yiddish, sono ben vivi e vegeti.
Ci sono oggi almeno un milione di persone al mondo che parlano l’yiddish. O come madrelingua o come lingua corrente. Oggi non vivono più a Cracovia, Odessa o Vilna. Ma basta fare un giro nei quartieri chassidici e charedi da Brooklyn a Gerusalemme, da Anversa a Melbourne, da Bnei Berak a Londra e si sente parlare l’yiddish per strada.
Ci sono scuole e yeshivot in cui la lingua principale è l’yiddish. Lo si parla a casa: ci sono giochi da tavolo, libri per bambini, giornali e novelle per adulti in yiddish. Ci sono cantanti e canzoni in yiddish. In alcune zone di Brooklyn le campagne elettorali dei politici americani includono cartelloni in yiddish. A Boro Park è possibile addirittura prelevare soldi dal bancomat in yiddish.
Pertanto quando Singer dice “Per me la lingua yiddish e il comportamento di coloro che la parlavano sono identici”, su questo siamo d’accordo.
Ma Singer dice anche: “Erano il popolo del Libro nel vero senso della parola. Non conoscevano gioia più grande dello studio dell’uomo e delle relazioni umane, che chiamavano Torah, Talmud, Mussar, Cabala”. Non direi “erano” ma…“sono”.
Non so dire se il futuro della lingua yiddish si trovi nelle aule universitarie, ma sicuramente si trova tra gli ebrei chassidim e charedi, per i quali la lingua yiddish non è il fine, quanto piuttosto il mezzo per mantenere la propria identità ebraica e continuare a studiare e vivere la Torà così come facevano i propri genitori e nonni da cui hanno appreso l’yiddish. Singer dice anche: “Credo che le nazioni possano imparare molto da quegli ebrei, dal loro modo di pensare, di educare i figli, di trovare la felicità dove gli altri non vedono altro che miseria e umiliazione”. Direi che, ancor prima delle nazioni, ci siano molti ebrei che avrebbero molto da imparare attingendo alla ricchezza spirituale della nostra comune eredità.
Zei Gezunt!

Michele Wagner