Kletzmer, una storia di confini

“Le culture e le lingue non muoiono mai di morte naturale, vengono assassinate”.
Sono parole che pronuncia Leandro Koch, regista e allo stesso tempo personaggio, insieme a Paloma Schachmann, di Adentro mío estoy bailando (The Klezmer Project), durante il loro viaggio alla ricerca delle ultime tracce della musica kletzmer, al confine fra Ucraina, Romania e Moldavia. Vincitore del GWFF Best First Feature Award alla settantatreesima edizione della Berlinale, da poco conclusa, il film – una coproduzione di Argentina e Austria – è un documentario che racconta un viaggio alla ricerca delle proprie origini e allo stesso tempo una vicenda sentimentale, che è però parte della storia stessa del documentario, con una costruzione a scatole cinesi che rende impossibile distinguere realtà e finzione. Non c’è da stupirsi, in fondo, è una coproduzione argentina. La narrazione stratificata fra fiction e metafiction parte dalla vita dello stesso Leandro, cameramen annoiato che riprende i matrimoni della comunità ebraica di Buenos Aires e non ha alcun interesse per le proprie radici, mentre la voce narrante, in yiddish, racconta una storia che si sovrappone alla sua. L’incontro con una clarinettista kletzmer che si sta dedicando alla ricerca delle origini della musica che si trova a suonare a quegli stessi matrimoni che lui riprende lo spinge a inventarsi l’esistenza di un progetto di documentario. Pur di riuscire a raggiungerla inizia a lavorarci davvero, in modo da poter partire, e con lei viaggiare (davvero) attraverso l’Europa orientale, alla ricerca di quelle melodie che sono state salvate dai rom che prima della seconda guerra mondiale vivevano accanto agli ebrei, e della clarinettista incontrata a Buenos Aires. Dal produttore al regista, dal ricercatore ai musicisti, ognuno interpreta se stesso, e il confine tra realtà e finzione si perde nelle foreste della Bessarabia, una regione a sua volta smembrata, da cui però tutto è iniziato. Anche il film.