Una gita tra lager e memoriali

Dai giovanissimi di Ha’Mishlahat, il film del regista israeliano Asaf Saban che racconta il viaggio in Polonia di una classe di liceali, all’inconfondibile forza di Golda Meir ritratta da un altro regista israeliano: Guy Nattiv. Alla settantatreesima edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino non sono mancati gli spunti ebraici, compreso l’Orso d’oro alla carriera assegnato quest’anno a Steven Spielberg, il cui semiautobiografico inno al cinema The Fabelmans è stato proiettato durante il concorso. Adentro mío estoy bailando (The Klezmer Project), degli argentini Leandro Koch e Paloma Schachmann, ha portato il pubblico del festival a immergersi nelle tradizioni musicali dell’Europa dell’Est, in un metadocumentario che stordisce, avvolgendosi su se stesso. E poi la sorprendente forza di Tàr, e la voce di Ingebor Bachmann…

a.t.

L’atmosfera gioiosa di una gita scolastica di alcuni giorni lontano da casa, all’estero. L’adolescenza con i suoi drammi e la difficoltà a gestire le emozioni. E i campi di concentramento. La miscela sarebbe già esplosiva, ma ad aggiungere profondità e complessità c’è un “dettaglio” in più, capace di cambiare tutto: a visitare i luoghi della Shoah, in Polonia, è una classe di giovani israeliani alla fine del periodo scolastico, quando una fase della vita si chiude, e il servizio militare, obbligatorio per tutti, li allontanerà. Accompagnati non solo dagli insegnanti (e dalla sicurezza) ma anche da un sopravvissuto, che per di più è nonno di uno di loro, affrontano un viaggio di formazione che cinematograficamente si colloca a cavallo di due generi, un po’ “road movie” e un po’ “coming-of-age”, appunto. Ha’Mishlahat, tradotto in inglese con “Delegation”, la delegazione, è il secondo lungometraggio dell’israeliano Asaf Saban, che a Berlino ha raccontato come la sua personale esperienza – il viaggio è parte integrante del percorso scolastico dei giovani israeliani – lo abbia segnato profondamente, e sia stato il punto di partenza per un film che alla 73° edizione della Berlinale è stato lungamente applaudito. Un film tutto giocato sui contrasti, anche visivamente: da un lato le risate fragorose dei ragazzi che si ammassano in un bagno, in albergo, per nascondersi e poter stare ancora alzati e dall’altra la Storia, il vuoto, il silenzio, la neve. L’insofferenza all’ennesima visione di un film sulla Shoah e le lacrime, le scorribande notturne e il silenzio attonito. Confrontarsi in maniera così inevitabile e dura con la propria storia e la propria identità nello stesso momento in cui esplode la voglia di stare nel presente, di godersi ogni attimo. È un viaggio capace di mettere alla prova il carattere e le emozioni, e i personaggi centrali – i giovani Frisch (Yoav Bavly), Ido (Leib Lev Levin), e Nitzan (Neomi Harari) – non fanno eccezione: pur molto diversi sono legati da un’amicizia sincera, che verrà rinsaldata dall’esperienza. Il viaggio attraverso memoriali e campi di concentramento è capace di obbligare chiunque a mettersi in discussione, ma per gli adolescenti israeliani tocca corde in più, affonda la lama nelle storie personali, familiari, nella storia del Paese, obbliga a fare i conti con la responsabilità di tutti e di ognuno. Per Frisch è ancora più difficile: il sopravvissuto è suo nonno Yosef (interpretato da Ezra Dagan), e la sua difficoltà, le esitazioni, le emozioni violente, a volte trattenute a volte molto evidenti, si riverberano sul più timido e apparentemente fragile dei ragazzi. Che dovrà confrontarsi con una situazione paradossale: viene “dimenticato” dall’autobus a una delle tante fermate. Trova un passaggio, che però, in una sequenza rocambolesca, lo porta a partecipare in quanto ebreo a una strana cerimonia ufficiale in una ex sinagoga, distrutta, dove gli viene chiesto di “dire qualcosa in ebraico, una preghiera, una benedizione…”. Al suo rifiuto, accompagnato dalla spiegazione sincera “Non saprei cosa dire, davvero. Preferirei non farlo”, arriva una risposta spiazzante: “Va bene qualsiasi cosa, anche breve. Poi ti lasceranno in pace”.