Il secolo di Maria Necha Burschtein
Maria Necha Milner Burschtein ha sempre avuto un obiettivo. Vivere almeno fino a cento anni, per tutti coloro “che non sono sopravvissuti”. Ne aveva venti quando dalla Lituania fu deportata in campo di sterminio, prima a Stutthof e poi a Dachau. “Mi separarono da mio padre e mio fratello, quando arrivai al campo provai a mangiare il mio piccolo orologio per non lasciarlo ai tedeschi. Mia madre venne fucilata di fronte a me, i miei capelli furono rasati”, testimonierà nei suoi diari. Ricordando anche l’unione nata proprio in quei mesi d’orrore con Isaac: a separarli “una rete di filo spinato”. Lo rincontrerà pochi giorni dopo la liberazione a Monaco, iniziando insieme a lui un nuovo percorso di vita. Napoli, Firenze, due figli: Giuseppe ed Elisabetta.
Maria Necha ha tagliato ieri il traguardo del secolo così intensamente anelato, circondata dal calore dei suoi cari e della Comunità ebraica fiorentina che l’ha festeggiata nella casa di riposo Settimio Saadun dove vive dal 2017. In tanti sono passati ad omaggiarla, dal rabbino capo Gadi Piperno all’assessore comunale Sara Funaro (che le ha consegnato una pergamena a nome dell’amministrazione cittadina). Due artisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo hanno inoltre eseguito per lei alcuni brani del repertorio musicale kletzmer. Una giornata intensa e commovente. Adesso, spiega il figlio, “l’obiettivo è arrivare a 120”.