“Lottiamo per i valori costituzionali,
contro ogni nostalgia e intolleranza”
L’atmosfera a Milano è di grande festa. Decine di migliaia di persone sfilano lungo il tradizionale percorso del corteo nazionale del 25 aprile. Alla testa della manifestazione che celebra la Liberazione, come in passato, i diversi gonfaloni e striscioni: da quello dell’associazione dei partigiani a quello dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, tenuto tra gli altri dal vicepresidente UCEI Milo Hasbani. In corteo non mancano poi le insegne della Comunità ebraica di Milano e le bandiere della Brigata ebraica, con lo striscione della prima tenuto dal presidente Walker Meghnagi e altri esponenti del Consiglio. Il corteo si è chiuso davanti al Duomo con gli interventi delle autorità, dei rappresentanti delle associazioni partigiane e con un pensiero anche alle oppressioni di oggi, in particolare all’Ucraina e all’Iran. Sul palco quest’anno anche la presidente dell’Unione Noemi Di Segni, che in mattinata ha deposto una corona di fiori a nome dell’UCEI alla Loggia dei Mercanti.
È un giorno di festa. Siamo qui assieme a tutte le associazioni partigiane che si identificano con i valori della Resistenza e della pacifica convivenza.
Ottant’anni fa gli italiani, che da vent’anni subivano il totalitarismo fascista, si trovano anche l’invasore tedesco, i nazisti. La persecuzione antiebraica e di ogni oppositore non è più silenziosa, diventa operativa e massiccia. Un’Italia divisa in due affronta la guerra interna ed esterna. Italiani contro Italiani, patti tra dittatori contrastati da quelli tra gli Stati alleati. Gli ebrei scelgono di essere parte attiva della Resistenza, così come dell’esercito attraverso la Brigata Ebraica. Nonostante il tradimento della Patria, le deportazioni e lo sterminio, ancora si ignora la magnitudine dell’orrore. Essere dalla parte dei diritti e delle libertà, mai per nulla scontate: chi meglio di noi può capirlo dopo millenni?
Il 25 aprile del ’45 è stata la festa della libertà riconquistata, della possibilità di muoversi liberamente, di respirare alla luce del sole, di pensare che i fascisti fossero spariti per sempre.
Siamo ben consapevoli di come sia stata declinata politicamente questa giornata di festa nei primi decenni del dopoguerra e di quanto oggi la sfida sia nel superamento di ogni divisione rispetto alle vicende storiche e alle ragioni che devono ispirare la celebrazione di valori così profondamente identitari. Oggi – dico oggi nell’odierno contesto politico – l’imperativo è consapevolezza. Al di là della libertà riconquistata grazie ai partigiani, agli Alleati, quanto si sperava in quel 25 aprile di settantotto anni fa non è accaduto. Forse per la fretta di riavviare la vita, forse per dialettiche politiche, forse per la capacità del male di celarsi in attesa di nuove legittimazioni: amnistie concesse, crimini di guerra ed eccidi rimasti per decenni impunti e senza alcun processo, la nascita dell’MSI, chi ha sostituito nei posti di lavoro e negli averi i deportati non si è visto giungere alcuna richiesta di restituzione.
In questi ultimi anni la nostalgia per quelle manifestazioni di potere, simboli e celebrazioni si è sempre più accentuata, il disconoscimento del fascismo come male assoluto sembra difficile da pronunciare, la demonizzazione di Israele come potenza nazista/fascista è sempre più aberrante, l’antisemitismo nella versione digitale e reale dilaga, le norme sulle benemerenze e indennizzi ancora avversate dai burocrati e rimesse alla compensazione diplomatica per le cause contro crimini di guerra. Ma cosa abbiamo da festeggiare?
Per me la cosa più significativa è il fiume di persone, il fiume di associazioni della società civile, che ha voluto oggi – qui tutti assieme – dire no ad un ritorno e ad una legittimazione nostalgica o leggerezza di atteggiamenti, atti e approcci che ricordino il nazifascismo. Quelli che si insinuano nelle pieghe del quotidiano. Nella vendita banale di prodotti con l’effige del Duce, i cori negli stadi ma anche nelle scuole, nel regno dei souvenir di Predappio. Quelli che si posizionano fuori dalla cornice dei valori che si sono voluti affermare come costituzionali. Quei discorsi che ascoltiamo sconvolti pronunciati dalle cariche più alte delle nostre istituzioni nazionali o locali.
Non solo ribadiamo l’aspettativa di riconoscere il male che fu il fascismo, ma anche di rafforzare le norme penali riguardo all’apologia oggi, così come favorire politiche educative che utilmente possano raggiungere i più piccoli. Tanti i giovani presenti. Giovani che senza aver vissuto quell’orrore hanno ben compreso che non lo vogliono vivere. La speranza che assieme a questa preoccupazione si comprenda e non si sostenga alcuna forma di delegittimazione – che non posso che etichettare come antisemitismo – dello Stato di Israele che tra poche ore si appresta a celebrare il 75° anno della sua Indipendenza. Che non si infiltrino le pretese per liberazioni demagogiche, che nulla hanno in comune con le persecuzioni e le occupazioni da noi subite. Che si riconosca il valore del contributo della Brigata Ebraica alla liberazione dell’Italia. Giovani e giovanissimi che lasciarono i loro Paesi per venire qui prima per combattere poi per aiutare nella ricostruzione delle nostre comunità ridotte a macerie umane riaccendendo la fiammella della vita comunitaria, istruendo e preparando i giovani, organizzando le traversate per sostenere l’emigrazione verso la terra di Israele. Le stelle di David accanto alle croci: questo vediamo nei cimiteri militari se andiamo ad omaggiare i caduti per la nostra Liberazione, per le nostre libertà che oggi non dobbiamo solo celebrare come conquista del passato, ma difendere come beni preziosi irrinunciabili. Con orgoglio e con determinazione proseguiremo nel nostro impegno per il consolidamento dei valori costituzionali, alzando la bandiera dell’Italia accanto a quella della Brigata Ebraica, per una limpida memoria che difenda da ogni abuso, antisemitismo e odio di ogni genere. Viva l’Italia. Viva gli italiani!
Noemi Di Segni, presidente UCEI