La destra e i conti col passato
Destra e conti con il passato: un tema che resta d’attualità, sulla scia del 25 Aprile. Sono un caso in questo senso le parole dello storico Franco Cardini sugli italiani che aderirono a Salò, regime che fu responsabile della deportazione e dell’assassinio di numerosi ebrei in campo di sterminio. “Quei ragazzi, quelle persone, quei soldati, sono stati spesso tutt’altro che degli aguzzini, tutt’altro che degli assassini, sono stati combattenti seri, onesti”, il pensiero espresso in televisione nel programma Otto e mezzo. Cardini, intervistato oggi dalla Stampa, ribadisce la sua convinzione che “anche i repubblichini hanno avuto dei meriti: magari stavano dalla parte sbagliata, ma volevano difendere la patria”. Lo storico sostiene anche “che allora si sapeva poco della Shoah”.
Sulle stesse pagine un altro storico, Giovanni De Luna, si sofferma sul modo in cui la premier Meloni guarda all’esperienza del Movimento Sociale erede nel dopoguerra di quella stagione. Scrive De Luna: “Quando nella sua lettera al Corriere elogia le forze che hanno traghettato dal fascismo alla democrazia milioni di italiani di destra lo fa riferendosi all’esperienza missina e rivolgendosi direttamente alla pancia del suo partito, quello che più di tutti ha rivendicato la continuità con il Msi (a partire dalla fiamma che campeggia nel simbolo di Fratelli d’Italia). In questo caso, però, il ‘traghetto’ è una delle tante finzioni lessicali a cui Meloni è costretta dal suo equilibrismo politico”. Così l’ex magistrato Gian Carlo Caselli, sempre sulla Stampa, nel commentare le dichiarazioni del presidente del Senato Ignazio La Russa sul termine ‘antifascismo’ non presente nella Costituzione: “Ognuno tira acqua al suo mulino, per cui si capisce come i nostalgici del regime (specie quelli che hanno giurato sulla Costituzione, assumendo cariche pubbliche importanti) si arrampichino sui vetri per proporre una tesi assurda e indifendibile: vale a dire che l’antifascismo nella nostra Carta non è neppure menzionato. Forte è la tentazione di lasciar perdere. Ma il silenzio sarebbe complice”. Secondo il filosofo Carlo Galli (Repubblica) “il dibattito sul significato che il 25 Aprile assume nel tempo del governo della destra è riconducibile a una grande questione filosofico-politica: se l’unità di un corpo politico nasca dal conflitto, o se viva nel conflitto”. Nel primo caso “il conflitto costituente è da considerarsi concluso, i suoi risultati acquisiti, la divisione originaria è cicatrizzata, e la vita della comunità si svolge in una dimensione di normalità”. Nel secondo caso “il conflitto è mantenuto attivo: il corpo politico vive se la ferita originaria è aperta, se continua a dolere; è di lì che nasce una memoria identitaria sempre presente”. Per Claudio Cerasa, il direttore del Foglio, una frase come quella pronunciata a Cuneo da Sergio Mattarella – la Repubblica italiana è ‘fondata sulla Costituzione ed è figlia della lotta antifascista’ – è una frase “che ogni esponente di centrodestra, desideroso di ‘combattere ogni totalitarismo’, dovrebbe provare a far sua senza se e senza ma, come ha fatto bene, per esempio, il governatore del Piemonte Alberto Cirio: esami del sangue no, ancora più chiarezza sì”.
Ferito a Kherson, da cecchini, l’inviato di Repubblica Corrado Zunino. Nell’attacco è rimasto ucciso il suo interprete, l’ucraino Bogdan Bitik. “Non si sentono esplosioni né rumori di droni, ci fermiamo per filmare il ponte che è parzialmente distrutto in due punti. Ci sono dei militari ucraini a circa 20 metri da noi. Ho addosso il giubbotto antiproiettili blu con la scritta bianca ‘press’, ‘stampa’, e in testa l’elmetto”, racconta il giornalista in una sua testimonianza. “All’improvviso gli ucraini urlano ‘go away, go away’, andate via, e ‘press, press’. Sono pochi secondi: mi giro per tornare verso la macchina che è a 30 metri dai noi, Bogdan rimane fermo, sento un colpo da dietro, la spalla che brucia. Mi giro sperando che Bogdan mi stia seguendo, ma lui non si muove, è a terra”.
Sul Riformista una intervista alla Presidente UCEI Noemi Di Segni, incentrata sulla Festa della Liberazione appena celebrata e sul significato oggi dell’antifascismo.
“Non mi preoccupa il nuovo partito fascista o il regime fascista, che sono cose che appartengono a un passato irriproponibile. Ciò che dovrebbe preoccuparci sono le nostalgie, perché sono esse che fomentano quel razzismo, quell’antisemitismo”, la sua riflessione. Alla fine, afferma Di Segni, “tutto questo trasmette degli atteggiamenti che si traducono, in modo molto preciso, concreto e puntuale in odio, antisemita e razziale: un odio che viviamo tutti i giorni”.
Sul Giornale alcuni pensieri post 25 Aprile del direttore del Museo della Brigata Ebraica Davide Romano, che sostiene: “Abbiamo vinto, partecipando insieme a iraniani e ucraini. Ma il nemico è dietro l’angolo. Chi contesta la Nato, chi gli ucraini, e chi magari tornerà a contestare noi. Il fascismo ha tante forme e colori: quello rosso e quello verde, cioè islamico, passando per il putiniano, sono i più insidiosi, perché godono ancora dell’appoggio di tanti cosiddetti antifascisti”.
Inaugurata, al Museo ebraico della Capitale, la mostra “Roma 1948 – Arte italiana verso Israele” a cura di Giorgia Calò e Davide Spagnoletto. “Una preziosa istantanea di una vitalissima stagione dell’arte in Italia, nel momento in cui il paese, uscito dall’orrore della guerra e dalle miserie della dittatura, ricostruiva, a un tempo, la propria identità democratica e quella culturale”, osserva tra gli altri Repubblica. In quel clima di ritrovata libertà esistenziale e creativa “furono alcuni artisti, autonomamente, a voler offrire il proprio sostegno e il proprio supporto al neonato Stato di Israele, e scelsero di farlo attraverso lo strumento dell’arte”.
Adam Smulevich
(27 aprile 2023)