I 75 anni d’Israele

“A riguardare i progressi compiuti dal piccolo Stato di Israele, 75 anni dopo la sua fondazione con la guerra d’indipendenza, sembra davvero di avere assistito a un miracolo”. Lo scrive su Repubblica Enrico Franceschini in un lungo articolo dedicato all’anniversario dell’Indipendenza dello Stato d’Israele. “Nonostante l’ininterrotta guerra combattuta ai suoi confini e gli episodi di terrorismo all’interno del proprio territorio da parte di chi non ha mai voluto riconoscere la legittimità dello Stato ebraico Israele ha dimostrato eccezionali capacità di tenacia e resilienza, di innovazione accademica e tecnologica, di perseveranza nel risolvere problemi che ancora piagano Paesi con esperienze assai più lunghe di sovranità, nel mantenere la moralità della cosa pubblica grazie a un sistema giudiziario impeccabile e nel creare una cultura originale e attraente. – afferma al quotidiano il demografo Sergio Della Pergola – Per tutto ciò ha rappresentato una fonte di ispirazione e di orgoglio non solamente per il popolo ebraico, ma per l’intera umanità. Con le sue utopie e le sue tensioni, oggi Israele è forse la cartina al tornasole della democrazia occidentale”. Anche nelle sue difficoltà e contrasti interni, si legge nel lungo articolo di Repubblica, che all’anniversario israeliano dedica anche un podcast a puntate.

Oz e la pace. Arriva in Italia Resta ancora tanto da dire, traduzione di una delle ultime conferenze dello scrittore israeliano Amos Oz. Un testo tradotto da Elena Loewenthal e presentato oggi su La Lettura del Corriere in cui si parla del futuro d’Israele e della pace con i palestinesi. Quest’ultima, scrive Oz, doveva essere “un divorzio ragionevole”, senza pretese di amore tra ex nemici ma con la necessità del dialogo, perché’ l’unica alternativa possibile sarebbe stata la guerra. “Anche in quest’ultima conferenza – spiega il Corriere – lo scrittore rimane fedele a sé stesso, si definisce un ‘combattente per la pace’ ricordando quelle due lontane parenti, giovani ebree tedesche, che trascorsero anni nei campi di concentramento nazisti e che non furono liberate ‘da attivisti pacifisti con ramoscelli d’ulivo e colombe, ma dai soldati Alleati con elmetto e mitra’. Così, dice, la ‘ferita palestinese’ non si cura con il bastone, con la repressione, ma con il riconoscimento di una sofferenza”. Ciò di cui bisogna prendere atto, per lo scrittore, è che se non ci saranno, e piuttosto presto, due Stati, allora ce ne sarà uno solo: “E se dovesse sorgere qui un solo Stato, non sarebbe uno Stato binazionale, nulla del genere, no. Sarebbe, prima o poi, uno stato arabo dal Mediterraneo al Giordano” dove gli ebrei sarebbero minoranza. Una soluzione impraticabile secondo Oz, che ironizzava sul fatto che ci siano solo “sei esempi di uno stato multietnico prospero. Ve li elenco a memoria: Svizzera, Svizzera, Svizzera, Svizzera, Svizzera e, giusto per non dimenticarla, la Svizzera”. Tutto, aggiunge il Corriere interpretando il pensiero dello scrittore israeliano, il resto o è andato a rotoli o è affogato in un fiume di sangue.

Milano, la cerimonia per Ramelli. Il sindaco di Milano Beppe Sala e il presidente del Senato Ignazio La Russa hanno deposto ieri una corona di fiori in memoria di Sergio Ramelli, il giovane del Fronte della Gioventù assassinato a Milano nel 1975 da Avanguardia operaia, e di Enrico Pedenovi dell’Msi, ucciso l’anno dopo da Prima linea. La Russa, scrivono Corriere, Stampa e Repubblica, ha lanciato nell’occasione un invito “alla pacificazione nazionale”. “Non vuol dire parificazione, sono due concetti completamente diversi – precisa subito il presidente del Senato dopo le polemiche per alcune sue affermazioni prima delle celebrazioni del 25 aprile, segnala Repubblica – c’è bisogno di avere memoria, ma anche di non trasferire ai giorni di oggi i contrasti, i conflitti, le divisioni profonde che non hanno più ragione di esistere”. “Riconciliazione significa tantissimo, ma bisogna essere capaci da tutte le parti di metterla in atto – gli risponde Sala – però è normale, giusto, anche bello che la politica si divida e veda le cose in maniera diversa. Il confronto deve essere sulla base della non violenza e del rispetto delle parole degli altri”. Sala, scrive il Corriere, ha anche aggiunto di “non essere riuscito” pur “avendoci provato” a far “dichiarare La Russa antifascista”. La Stampa mette invece in evidenza uno scontro tra la seconda carica dello Stato e alcuni giornalisti, con il rifiuto del primo a commentare i saluti romani di alcuni militanti di destra durante le commemorazioni per Ramelli.

Milano, la sfilata neofascista. Secondo la questura erano poco meno di un migliaio di persone in rappresentanza delle sigle più rappresentative della galassia neofascista – CasaPound, Lealtà e Azione, Rete dei Patrioti – coloro che ieri sera hanno partecipato alla fiaccolata per Ramelli, tra saluti romani e frasi come “onore ai camerati caduti”.

Pensiero liberale. Sia Repubblica che Giornale intervistano il filosofo americano Michael Walzer in merito al suo ultimo saggio Che cosa significa essere liberale (Raffaello Cortina). II titolo originale del libro è “The Struggle for a Decent Politics”, “la lotta per una politica decente”. A riguardo Walzer spiega: Credo nel concetto espresso dal mio amico Avishai Margalit nel suo La società decente: una società giusta è aspirazione molto alta, impegniamoci almeno a vivere in una ‘società decente’. E sì, la politica è oggi indecente. Impregnata d’odio verso gli avversari, caratterizzata dal desiderio di prendere tutto e poi cambiare le regole affinché nessun altro vinca più”. Il filosofo spiega poi di intendere “liberale” come aggettivo che corrisponde ad “Apertura mentale, scetticismo, ironia, non fanatismo, desiderio di andare incontro all’ambiguità, riconoscimento delle pluralità e delle diversità”. Alla domanda quale sia il capitolo del libro a cui tiene di più, afferma: “Cosa significa essere un ebreo liberale. Sono un ebreo secolare che va tutti i sabati in sinagoga: per incontrare persone che vedono di me cose che ad altri sfuggono. Ci sono comunità all’interno delle nazioni e quella ebraica è la mia. Naturalmente questo significa che devo anche litigare molto. Ma ogni capitolo mi somiglia. Spero che molti lettori, riconoscendosi, aggiungeranno l’aggettivo liberale al loro credo politico”.

Segnalibro. La Lettura si sofferma sul volume L’ eternità nell’istante. Opere. Gli anni francesi (1932-1942), raccolta di saggi, lettere, libri e appunti della pensatrice Rachel Bespaloff. “Una filosofa ebrea, ucraina di nascita, esule di destino, che si comincia lentamente a conoscere. – scrive La Lettura – Lentamente, perché il suo nome non compare pressoché mai nella letteratura dedicata alla filosofia francese degli anni ’30, periodo fecondissimo nel quale imperversava tra gli altri l’emigrato russo col nome francese di Alexandre Kojève. Eppure a Parigi Bespaloff si era inserita nei circoli degli intellettuali di punta, nei quali erano presenti molti ebrei emigrati dalla Russia e dall’Ucraina, e partecipava con entusiasmo alla vita intellettuale della città”.

Sentenze. Sul Fatto Quotidiano Antonio Esposito critica la sentenza del Tribunale di Forlì che ha assolto una estremista di destra che aveva indossato una maglietta nera con la scritta “Auschwitzland” con il disegno della porta di ingresso del lager nazista. La donna era stata accusata di aver violato la legge Mancino. I giudici di Forlì non hanno ravvisato tale violazione, che secondo Esposito è evidente. “Il disegno in questione è il simbolo usuale di gruppi fondati sulla apologia della Shoah e sull’odio razziale; l’immagine dell’ingresso del campo di sterminio di Auschwitz è un segno grafico dotato di portata distintiva, simbolica, rimandando inequivocabilmente al genocidio degli ebrei, senza considerare che la maglietta con quel simbolo fu indossata dall’imputata che partecipava alla manifestazione fascista a Predappio nell’anniversario della ‘marcia su Roma’. Non vi è quindi alcun dubbio – scrive la firma del Fatto – che, nel caso di specie, è stato commesso il reato di cui all’articolo 5 della legge Scelba del 1952 (integrato dall’art. 2 dl n° 122/1993) che vieta la manifestazione e la espressione di simboli riconducibili all’ideologia nazifascista, gravemente pregiudizievoli dei valori della Carta costituzionale su cui si fonda l’ordinamento democratico. E auspicabile che tale improvvida decisionesia al più presto cassata dalla Corte di legittimità”.

Vittime del terrorismo. L’Onu ha recentemente rifiutato di includere nell’elenco delle vittime del terrorismo i nomi di Irina Korolova e del sergente maggiore Mil Sawaed, entrambi uccisi in due diversi attacchi terroristici. Lo racconta Libero. “Korolova, ucraina di 60 anni, fu colpita insieme ad altre sei persone in un attentato con armi da fuoco davanti a una sinagoga di Gerusalemme lo scorso 27 gennaio, ma nei registri dell’Onu sono censiti solo sei nomi. Poiché l’attentato avvenne ‘nel territorio palestinese occupato’, le vittime sono classificate con l’etichetta ‘coloni ebrei’, come se il luogo in cui vive un ebreo ne giustifichi l’assassinio. – spiega Libero – Ma siccome Korolova non era ebrea né israeliana, non può essere definita ‘colona’ e viene espunta dall’elenco delle vittime del terrorismo palestinese”. Il sergente maggiore Sawaed della polizia di frontiera israeliana, 22enne, era stato ferito a morte da un terrorista palestinese lo scorso 13 febbraio a Gerusalemme Est. “Un militare – la ricostruzione del quotidiano – fece fuoco verso l’attentatore, ma colpì per errore Sawaed che non sopravvisse alle ferite riportate sia dall’accoltellamento che dallo sparo. Anche lui non sarà riconosciuto dall’Onu come vittima del terrorismo perché ritenuto ucciso da ‘fuoco amico’”.

Daniel Reichel