Mercanti e antichi tessuti nel Ghetto,
le testimonianze riscoperte 

Tre secoli di storia, affrontati attraverso il segno lasciato dagli eventi sui manufatti tessili. È lo stimolo che arriva da “Mercanti e stracciaioli nel Ghetto di Venezia”, esposizione a cura della direttrice del Museo ebraico locale Marcella Ansaldi inaugurata quest’oggi in Campo di Ghetto Novo (Ikona Gallery). Svelato al pubblico un mondo del quale molto si sa, ma di cui restano ancora prospettive affascinanti da illuminare. A documentarlo tre preziosi tessuti finora mai esposti, da poco restaurati da Opera Laboratori. Un’importante testimonianza, si attesta, “dell’esistenza degli ebrei a Venezia e del loro vivere quotidiano”. Si tratta di una tovaglietta dello Shabbat e di due meil, il manto con il quale si avvolge il rotolo della Torah, in un viaggio nel tempo che dall’iniziale costrizione e separazione dal resto della cittadinanza porterà fino alla conquista di libertà e diritti.
Agli ebrei del Ghetto, ricorda la mostra, non era concessa la pratica della tessitura e potevano vendere soltanto le cosiddette “strazze”. Nonostante la legge molti artigiani ricevevano comunque ordinazioni di merce dai mercanti rinchiusi dal 1516 nel “serraglio de’ giudei”. Sfondo e teatro, viene spiegato, “di una esperienza esistenziale senza uguali, dove la sopravvivenza economica degli ebrei è strettamente connessa ai mestieri loro concessi o imposti”.
Tutto nasce nel ‘400, con la fioritura di varie attività artigianali nel sestiere di Cannaregio. Tra queste spicca quella dei Testori da seda, i tessitori di sete, che intrecceranno “interessanti rapporti commerciali” anche con il Ghetto. A metà del Settecento Venezia conterà un totale 795 tessitori, di cui l’84% residente in quell’area. Il Ghetto risultava così circondato da ogni lato da centinaia di botteghe. Inevitabile, pertanto, una relazione. Tra le luci e le ombre della Storia.
La mostra si inserisce all’interno di un percorso di collaborazione avviato di recente tra Comunità ebraica e Opera Laboratori. “Una collaborazione illuminata e preziosa che presenta il primo frutto di un percorso culturale che porta a conoscenza del pubblico opere d’arte finora rimaste nascoste nei depositi museali”, la soddisfazione del presidente della Comunità ebraica Dario Calimani. Così Beppe Costa, il presidente di Opera Laboratori: “Quando abbiamo intrapreso a gennaio scorso questo cammino condiviso l’abbiamo fatto consapevoli del valore di un luogo storico. Siamo sempre più convinti di poter contribuire con la nostra professionalità”.
Una mostra che guarda lontano. A quando, all’incirca tra due anni, saranno completati i lavori di ristrutturazione del Museo ebraico. Con l’obiettivo di essere un polo di riferimento sempre più internazionale. “L’intento – spiega Ansaldi – è di costruire un percorso che ci avvicini a quella data. Seminando conoscenza e interesse. Mostrando al pubblico una parte dei nostri tesori: quelli già conosciuti e quelli ancora da valorizzare”.