“Tutela dei diritti universali,
una sfida anche ebraica”

Sosteneva il rabbino Jonathan Sacks che l’impegno a favore dei diritti si esprime spesso con un “accento ebraico”. Un concetto fondante anche per l’Italia, dove numerosi furono gli ebrei attivi nella ricostruzione del sistema giuridico dalle macerie lasciate dal nazifascismo appena sconfitto. Anche tra i banchi di quell’Assemblea costituente che fu chiamata a scrivere la legge fondamentale dello Stato, la Costituzione, prima garanzia per le libertà di tutti.
Principio cardine di “Articolo 3: Diversi tra Uguali – 75 Anni di Costituzione 1948/2023”, progetto a cura di Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara. Di “diritti dell’uomo” si è parlato ieri nella sede della Treccani, dove ad animare un confronto tra passato e presente sono stati il presidente emerito della Corte costituzionale Giuliano Amato e la presidente UCEI Noemi Di Segni, con un saluto in apertura del presidente dell’Enciclopedia Italiana Franco Gallo. Moderato dalla giornalista Simonetta Fiori, l’evento ha richiamato vari nodi e complessità. Aprendosi a una dimensione non soltanto nazionale.
“Sentimenti di resistenza all’universalità di alcuni diritti hanno finito per manifestarsi contro alcune sentenze europee che li hanno affermati per tutti. Quando tale processo interattivo riuscirà a concludersi in favore della sottrazione dei diritti è impossibile saperlo. Tuttavia mi spaventa un certo ‘spappolamento’. Mi spaventa ad esempio quel che accade in Ucraina, Sudan e Siria. Ma mi spaventa anche che nella vicina Francia non ci sia una manifestazione che non immetta nuova violenza”, l’allarme lanciato dall’ex Primo ministro nelle prime battute della conferenza. Di tenore differente, ha poi specificato, quel che sta accadendo in Israele dove una parte considerevole dei cittadini “è riuscita a far arretrare il suo opinabile premier con manifestazioni del tutto pacifiche”.
Secondo la presidente UCEI, nell’aprire un ulteriore tema, “è importante ragionare attorno a una costruzione europea che non si basi soltanto su contenuti economici, ma che rafforzi una cornice di valori e solidarietà”. Prezioso in questo senso l’apporto del mondo ebraico, tradizionalmente capace “di radicarsi nelle culture locali, ma sentendosi parte di un universo più ampio”. Un mondo fermo nella sua opposizione a violenze e discriminazioni di qualunque tipo e per questo consapevole “che non si possono mettere tutti i soggetti sullo stesso piano, quando uno esercita una prevaricazione sull’altro”.
In evidenza, parlando di Costituzione italiana, l’impegno di alcune figure illustri con un retaggio e una formazione ebraica. “Il più noto di loro è senz’altro Umberto Terracini, che fu presidente dell’Assemblea costituente. La sua firma è il simbolo di un’integrazione assoluta”, il pensiero di Amato. L’ex presidente della Corte costituzionale ha poi citato un documento poco noto, stilato dall’allora Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, con elencati alcuni rilievi critici. Tra gli altri sul concetto di “indissolubilità del matrimonio” ufficialmente contestato perché si coglieva in esso, la valutazione di Amato, “il segno più evidente di una ‘non parità’ tra religioni’”. Per Di Segni “leggendo il testo costituzionale, la presenza della parola ‘razza’ al suo interno stona e disturba ancora oggi”. Nonostante ciò, “è comprensibile perché stia lì e perché è giusto che ci resti”, ricordando a tutti la ferita della persecuzione antisemita di cui il fascismo fu artefice. Di Segni ha quindi spiegato come, dal punto di vista ebraico, essenziale sia la tutela “della vedova, dell’orfano e di chi è straniero: tre categorie che conosciamo a partire dai testi della Tradizione e che sono oggi ‘attenzionate’ con un pensiero rivolto alle famiglie in condizioni di fragilità e agli immigrati”.
“Quale valore attribuire all’antifascismo?” è stato poi chiesto agli oratori, riflettendo sul modo in cui alcuni rappresentati delle istituzioni hanno declinato l’argomento di recente. C’è stato ad esempio chi, avvicinandosi l’appuntamento col 25 Aprile, ha parlato di termine “antifascismo” non presente nella Costituzione. Una presenza che è nella sostanza delle cose, ha fatto capire Amato con un efficace affresco rispetto alle diverse situazioni vissute da Italia e Germania nel periodo della ricostruzione post-bellica. Entrambe sconfitte ed entrambe uscite da esperienze dittatoriali. Eppure, mentre la Germania fu considerata “res nullius” e per questo altri scrissero per lei la sua Costituzione, l’Italia potè godere di una sua autonomia e indipendenza. “Se l’Italia ha potuto mantenere una sua classe dirigente lo deve alla Resistenza. Sarebbe l’ora di riconoscerlo”, l’auspicio di Amato. Per Di Segni non si può esaurire la condanna del fascismo alle sole leggi razziste, ma in quanto “male radicato in qualsiasi aspetto della società italiana e che riguardava tutti gli italiani”. Oggi, la sua constatazione, “c’è una resistenza rispetto a questo riconoscimento”. E l’allarme “non riguarda tanto gli atteggiamenti molto rumorosi, quanto quelli più subdoli: una parola qua, un sorrisino là…”. Secondo la presidente UCEI negli 80 anni trascorsi dal crollo del fascismo “non abbiamo fatto abbastanza: nella scuola, nella società, dove ci siamo trovati ad agire”. La sfida “è cosa fare adesso di concreto e dove; una sfida che riguarda anche la difesa di Israele contro la sua demonizzazione in quanto tale”. Un tema già esplicitato nell’occasione della recente visita del premier israeliano Netanyahu a Roma, quando Di Segni è intervenuta anche rispetto alla proposta di riforma giudiziaria avviata dal suo esecutivo. Un tema difficile da affrontare “perché delicato è trovare un confine, in cui si rifiuti ogni delegittimazione, ma si aiuti al tempo stesso a ragionare e a capire che in alcune scelte è difficile riconoscersi ebraicamente”. Ferme le parole di Amato a difesa del diritto di Israele ad esistere e prosperare. Una posizione di netta distanza rispetto “a quella buona parte di palestinesi e sinistra italiana che ha ritenuto che la presenza di Israele fosse abusiva”. Secondo Amato, ciò premesso, “se il fondamento della critica è chiaro, la critica deve essere fatta”.