Napoli aspetta il terzo scudetto,
nel segno di Giorgio Ascarelli

Napoli, è qui la festa. Ormai per il terzo scudetto, dopo i due conquistati nell’era Maradona, è questione di ore. Con molte probabilità arriverà già stasera, se la squadra di Spalletti uscirà indenne dal campo dell’Udinese. Traguardo che sembra alla portata del club che sportivamente parlando ha “ammazzato” da tempo il campionato, scavando un solco tra sé e le inseguitrici. Un’impresa che in estate ben pochi avrebbero pronosticato e che ha molti padri tra calciatori e dirigenti attuali. Ma anche un’eredità storica da riaffermare, un secolo di passione popolare con pochi eguali al mondo innescato dall’intuizione di un imprenditore e filantropo ebreo prestato al pallone, Giorgio Ascarelli, napoletano di solida borghesia e animo verace, che nell’agosto del 1926 scelse di dar vita a un sodalizio con tutti i crismi per competere nel primo torneo professionistico che proprio allora vedeva la luce per gli effetti della Carta di Viareggio.
L’Associazione Calcio Napoli nasceva sulle ceneri dell’Internaples, una realtà dilettantistica che aveva esaurito il suo compito. Consapevole di ciò, Ascarelli impresse una svolta netta solennizzata dal lirismo di queste parole: “Pur grati a coloro che sono stati la nostra matrice, l’importanza del momento e la maggiore dignità cui il nostro sodalizio è chiamato mi suggeriscono un nome nuovo, nuovo e antico come la terra che ci tiene, un nome che racchiude in sé tutto il cuore della città alla quale siamo riconoscenti per averci dato natali, lavoro e ricchezza”.
Era l’inizio di una gloriosa avventura e di un breve ma intenso cammino d’amore con i tifosi napoletani. Riconoscenti a tal punto che, quando nel 1930 morì prematuramente all’età di 36 anni, stroncato da una peritonite, in migliaia accorsero per le strade della città accompagnandone il feretro fino al cimitero ebraico.
A Napoli e al Napoli il fondatore aveva dato ogni energia, dotando la sua creatura calcistica di uno stadio di proprietà (il primo d’Italia) che gli sarà intitolato a furor di popolo post mortem ma che l’antisemitismo fascista cancellerà poi con violenza dalla memoria collettiva. Era, è stato documentato, un gioiello. Qualcosa di davvero speciale per quegli anni pionieristici, dove in pochi ebbero la sua capacità di guardare lontano. Caratteristica di cui dotò anche la squadra, subito entrata nel cuore di Napoli, che volle anche intendere come una “risposta” del Sud al Nord del Paese (i cui club non avevano al tempo rivali).
“Senza badare a sacrifici, senza mendicar concorsi o sussidi, da solo Ascarelli ha dato a Napoli una squadra e un campo. Opera ciclopica tanto più pregevole in quanto attuata in piena semplicità, schivo come era da ogni plauso o réclame”, scriverà il quotidiano Il Mattino nel tesserne le lodi subito dopo la scomparsa. Percosso da un duro fato, si aggiungeva, “Ascarelli si eclissa per sempre, ma il suo nome attraverso l’ultima opera sua resterà scolpito nel cuore dei soci del club azzurro, degli sportivi tutti della nostra città”. Una radice in realtà spesso dimenticata tra chi tifa, in curva o a casa. E che ora Napoli ha l’occasione di riportare in evidenza, nel segno di una grande festa di sport e identità attesa per oltre trent’anni.

Adam Smulevich