Al Salone con Pagine Ebraiche
Elena Di Porto, simbolo antifascista

Tornerà a breve l’appuntamento con il Salone Internazionale del Libro, giunto quest’anno alla 35esima edizione. “Attraverso lo specchio” il tema di questo nuovo incontro con la grande letteratura italiana e straniera, dal 18 al 22 maggio, nella cornice del Lingotto. Non solo un tema, ma quasi un motto. Un desiderio che porta chi lo esprime “a travalicare la quotidianità e la passività per sconfinare in nuovi mondi dove il reale e il fantastico si mescolano, dove tutto è possibile”.
Numerosi gli eventi a tema ebraico. Tra gli altri la presentazione del libro “La matta di piazza Giudia” di Gaetano Petraglia, dedicato alla figura dell’ebrea romana Elena Di Porto. Un evento a cura dell’editore Giuntina, in collaborazione con la Comunità ebraica torinese e la redazione di Pagine Ebraiche. I nostri lettori sono invitati domenica 21 maggio, alle 11.45, in Sala Indaco. Con l’autore interverranno il direttore della redazione Guido Vitale e la psicoterapeuta Caterina Di Chio.

Il nome di Elena Di Porto aleggia, più o meno esplicitamente, in molta letteratura dedicata al 16 ottobre 1943. In primis l’omonimo libro di Giacomo Debenedetti, un punto di riferimento irrinunciabile per chiunque voglia approfondire gli eventi che portarono alla cattura e deportazione di oltre mille ebrei romani per mano nazifascista.
Di “Elena la Matta”, che però “matta” non lo era, si sapeva finora assai poco. E quel poco risultava spesso confuso e incerto.
A restituire un’identità a questa figura iconica dell’ebraismo romano e coraggioso esempio di antagonista del fascismo della prima ora arriva ora il saggio La matta di piazza Giudia (ed. Giuntina), scritto dal funzionario archivista Gaetano Petraglia.
Ad essere dissezionate dall’autore tutte le tracce lasciate da Elena nella sua breve vita, dalla gioventù trascorsa nell’ex Ghetto (la popolare “piazza”, luogo ancora vitale dell’identità ebraico-romana) fino alla deportazione ad Auschwitz-Birkenau da dove non tornerà. Tra questi due estremi i ricoveri nell’ospedale psichiatrico, gli scontri con le squadracce in camicia nera, l’esperienza del confino nel Sud Italia. Il ritorno a Roma e il suo estremo tentativo, alla vigilia del 16 ottobre, di mettere in guardia dal pericolo incombente sulla Comunità. La storia, nel suo intero dipanarsi, di “una battaglia di resistenza personale che non si arrestò con i quattro ingiusti ricoveri in manicomio, disposti strumentalmente per reprimere il suo dissenso nei confronti dei soprusi del regime fascista, né con l’emarginazione sociale che ad essa seguì”, sottolinea Petraglia. E neppure, aggiunge, “con la persecuzione razziale e il terrore nazista”.
La ricerca sul campo inizia oltre dieci anni fa quando Petraglia, incaricato di censire gli archivi comunali della Basilicata, si ritrova tra le mani alcuni fascicoli intestati a confinati politici e comuni e ad internati ebrei. La quasi totalità di loro stranieri. Tranne un nome, quello di questa giovane donna inviata nel profondo Meridione dalla Capitale. Da allora, scrive, quel nome “iniziò a ronzarmi insistentemente in testa per diversi mesi, fino a quando decisi di ritornare in archivio e approfondire”. Immersione nella Storia che l’ha portato a consultare vari faldoni e fascicoli, ma anche ad interfacciarsi direttamente con i familiari di Elena. Per capire chi davvero fosse quella donna e perché è oggi importante fare chiarezza e raccontare, lasciando una testimonianza ai giovani. Un viaggio complesso, ammette Petraglia: “I rischi nel trattare storie come quella di Elena Di Porto sono evidentemente molti. Per non andare fuori strada nella ricostruzione dei fatti è stata necessaria una attenta e continua attività di discernimento e di controllo dei racconti oggetto, nel tempo, di inevitabili modificazioni”.
Le testimonianze dirette di familiari e conoscenti, assunte anche attraverso filmati e memorialistica, e quelle indirette di parenti, amici e di coloro che la storia di Elena l’hanno appresa in famiglia o dagli anziani di “piazza” restano infatti fondamentali. Almeno, si legge, “quanto le fonti rintracciate nei principali archivi italiani”. Il libro di Petraglia è un’appassionata ed equilibrata sintesi di tutti questi elementi. Elena era tutt’altro che “matta”, come alcuni a torto sostenevano. Al contrario, la sua capacità di comprensione era superiore alla media. E le permise di vedere prima di altri l’arrivo della catastrofe.

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