“Gli arresti stalinisti non si fermano”

“Arresti stalinisti”. Così li chiamava rav Pinchas Goldschmidt, ex rabbino capo di Mosca, fuggito dalla Russia in seguito all’aggressione militare contro l’Ucraina. Detenzioni arbitrarie, con il solo obiettivo di silenziare voci libere e potenziale dissenso. A questa lista già molto lunga, con all’interno varie personalità del mondo della cultura con un’identità o un’ascendenza ebraica, si aggiunge ora Yevgenya Berkovich. Una direttrice di teatro, pluripremiata in un passato anche recente, che un tribunale ha accusato di “giustificare il terrorismo” perché in un suo spettacolo si racconta del matrimonio di una donna russa con un terrorista dell’Isis. Il processo si celebrerà tra qualche mese. Nel frattempo la donna dovrà trascorrere un periodo di custodia in carcere.
Tra quanti stanno levando la voce in suo sostegno, denunciando la gravità di questa decisione, c’è proprio rav Goldschmidt. L’ex rabbino capo di Mosca e attuale presidente della Conferenza europea dei rabbini, nel farlo, ha evocato i tempi bui dell’Unione Sovietica quando senza motivo si poteva finire in una cella. Assieme a quello di Berkovich il rav ha fatto altri due nomi: Vladimir Kara-Murza, attivista e giornalista, condannato a 25 anni di detenzione per aver diffuso “informazioni deliberatamente false” sulle forze armate. Ed Evan Gershkovich, il corrispondente del Wall Street Journal fermato in marzo con l’accusa di essere una spia.
Rav Goldschmidt è stato tra i promotori di una campagna internazionale che chiedeva alle famiglie di lasciare libera una sedia del Seder, la cena rituale che dà inizio alla Pasqua ebraica, come segno di solidarietà nei suoi confronti. Una scelta che non è rimasta indifferente al Cremlino. “Ho saputo che le autorità stanno chiedendo ai leader comunitari di denunciarmi. Questo – l’amara fotografia del rabbino – è il tragico stato della Russia al giorno d’oggi”.