Ucraina, nuovi attacchi
Nelle ultime 24 ore, la Russia ha lanciato 16 missili, prendendo di mira i distretti di Kharkiv, Kreson, Mykolaiv e Odessa. Sotto attacco anche Kiev. “L’allarme aereo è risuonato in quasi tutta l’Ucraina. – racconta il corrispondente di Repubblica Paolo Brera – A Bakhmut i russi hanno aumentato l’intensità dei bombardamenti con armi pesanti e sperano ancora di catturare la città entro il 9 maggio. E il fondatore della Wagner, Prighozin, fa marcia indietro sul ritiro: ‘Mosca ci ha promesso più munizioni’”. La Russia intanto procede a quelle che definisce “evacuazioni” dagli insediamenti dell’oblast di Zaporizhzhia: già più di 1.500 le persone reinsediate. “Nella regione – evidenzia Repubblica -resta alta la preoccupazione per la centrale nucleare”.
Doppia strage in Texas. Ad Allen, non lontano da Dallas, un uomo di 33 anni, ha sparato all’impazzata nel parcheggio di un centro commerciale con un fucile d’assalto AR-15. Ha ucciso otto persone, tra i 15 e i 51 anni, e altre sette sono state ferite. Il Corriere spiega che uno stemma cucito sull’abito militare usato durante l’attacco rivela l’affiliazione dell’assalitore – ucciso da una guardia di sicurezza – a gruppi suprematisti bianchi o neonazisti. Secondo i dati del Gun Violence Archive quella di Allen è la duecentesima sparatoria di massa negli Usa da inizio anno. Più che negli ultimi sei anni. Il presidente Biden vuole intervenire e ordinare il bando della vendita delle armi d’assalto.
Ore dopo Allen, sempre in Texas, un uomo ha investito con un suv un gruppo di persone che aspettava l’autobus. Le vittime erano del Venezuela, sette sono morte sul colpo, scrive sempre il Corriere. Secondo alcuni testimoni si è trattato di un attacco deliberato. Il responsabile è stato arrestato.
Da Riad a Delhi, passando per Gerusalemme. Una rete, ferroviaria e marittima, che unisca Medio ed Estremo Oriente, dall’Arabia Saudita all’India, con il coinvolgimento anche d’Israele. È l’idea che il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Usa Jake Sullivan avrebbe discusso nella sua recente visita a Riad, secondo quanto riportato dal sito Axios. Una notizia ripresa oggi da Repubblica che ricorda come “alla vigilia della partenza, Sullivan aveva sottolineato come la normalizzazione dei rapporti tra Gerusalemme e Riad rappresenti una priorità”. Negli ultimi mesi però, rileva Repubblica, l’obiettivo sembrava essersi allontanato. “Il nuovo governo israeliano entrato in carica a dicembre ha virato decisamente a destra con diversi episodi che hanno suscitato l’irritazione dei Paesi del Golfo che già hanno normalizzato i rapporti con lo Stato ebraico – in particolare gli Emirati, con il viaggio del premier Benjamin Netanyahu (che pure nel 2020 era stato uno degli artefici degli Accordi di Abramo) rimandato a data da destinarsi. Mentre di recente l’Arabia ha mostrato segnali di apertura verso l’Iran, il grande nemico di Israele e dei Paesi sunniti della regione, le cui mire egemoniche hanno rappresentato uno dei motori dell’avvicinamento tra Gerusalemme e i nuovi alleati arabi”. Secondo Axios, nonostante questi ostacoli, il tema della normalizzazione dei rapporti è stato come in cima all’agenda di Sullivan nella sua visita ai sauditi. Con anche l’idea di riprendere il discorso sulla rete ferroviaria e marittima di collegamento tra Medio ed Estremo Oriente. “Sarebbe stata proprio Israele – scrive Repubblica – a proporre la visione di un asse ferroviario attraverso i Paesi del Golfo, da collegare poi all’India tramite le vie commerciali marittime sfruttando i porti della regione”. Per Axios, la Casa Bianca ha pensato di coinvolgere l’Arabia Saudita in questo progetto, con l’idea di un’iniziale passo indietro di Israele. “Con l’obiettivo però – chiosa Repubblica – che un giorno si possa davvero tornare a viaggiare in treno da Gerusalemme a Riad e magari Medina, in un nuovo Medio Oriente”.
Il rientro della Siria nella Lega araba. Dopo dodici anni dalla sua sospensione per le violente repressioni governative nei confronti di manifestanti e oppositori, la Siria è tornata a far parte della Lega Araba. L’organizzazione che riunisce i paesi del Nordafrica e della Penisola araba ha deciso ieri per il reintegro del paese governato, oggi come dodici anni fa, dal presidente Bashar al Assad. La riammissione, scrive il Corriere, forse era “inevitabile per il semplice fatto che, dopo 12 anni di condanne e isolamento, la dittatura di Assad è riuscita a rimanere in sella e il Paese era e resta troppo importante per essere ostracizzato tanto a lungo senza prospettive d’uscita. Il Medio Oriente sta cambiando rapidamente: il recente riavvicinamento tra universo sciita e sunnita, garantito dalle nuove intese tra Iran e Arabia Saudita mediate abilmente dalla diplomazia cinese, abbatte gli antichi steccati sorti dopo l’invasione Usa dell’Iraq nel 2003 e crea nuove opportunità di cooperazione regionale”. Repubblica ricorda cosa sono stati questi dodici anni: “Assad e il suo clan per mantenersi al potere hanno usato metodi brutali contro i siriani, hanno ordinato e accettato l’uccisione di centinaia di migliaia di persone e hanno usato armi chimiche – come provato dalle inchieste delle Nazioni Unite – e missili balistici contro aree abitate da civili. L’apparato di sicurezza siriano ha catturato e giustiziato decine di migliaia di dissidenti – che non c’entravano nulla con gruppi estremisti o terroristici”.
Terrorismo. “Il governo Netanyahu favorisce forse l’esasperazione palestinese, poiché non si mostra interessata al dialogo, ma gli attentati purtroppo ci sono sempre stati, anche quando i governi erano di sinistra. Credo inoltre che l’attuale governo non abbia né i mezzi né le disponibilità di contrastare quest’ondata di terrorismo. Le soluzioni tattiche risultano essere troppo sporadiche e troppo specifiche, decisamente non sufficienti per porre fine agli attentati ricorrenti”. A dirlo a Libero, Avi Issacharoff, giornalista israeliano esperto di terrorismo nonché tra gli ideatori della popolare serie Fauda. A lui il quotidiano chiede una valutazione sulla nuova escalation di attacchi terroristici palestinesi e sulle minacce che arrivano da nord. Per Issacharoff per il momento, nonostante le tensioni su più fronti, difficilmente si arriverà a una guerra aperta. “Credo piuttosto che siamo già nel pieno di una battaglia che si svolge a basso profilo. Non escludo affatto che prima o poi la battaglia tramuti in guerra, ma fino ad allora sono piuttosto convinto che tutti i fronti coinvolti abbiano un interesse sincero a mantenere un profilo basso. Hamas non è certo pronto per una guerra, Israele dovrebbe piuttosto occuparsi della minaccia che si sta risvegliando a nord del paese”.
Stadi e razzismo. A Bergamo l’attaccante della Juventus Dusan Vlahovic è stato oggetto di cori razzisti. La partita è stata fermata per poco con l’altoparlante a chiedere ai tifosi di cessare le offese. “Come era successo a Lukaku, nel derby di Coppa Italia, – la cronaca del Corriere – il bianconero con il viso trasfigurato dalla rabbia si porta l’indice alla bocca, ma senza guardare la Curva del misfatto. Chiesa, invece, la guarda quando si appoggia le mani dietro le orecchie. I cori ripartono, Doveri ammonisce Vlahovic per l’esultanza ritenuta provocatoria, mancando di sensibilità e elasticità”. Si valuta ora una possibile sospensione della curva. Il Corriere critica invece l’uscita dell’allenatore dell’Atalanta sul caso. “Non è razzismo, ma maleducazione”, le sue parole. “Un’uscita sbagliata”, replica il quotidiano. Su Repubblica Paolo Condò chiede a “dirigenti, allenatori e giocatori di uscire dall’equivoco” e dire chiaramente che non si tratta di insulti, ma di razzismo. “Tormentare Dusan Vlahovic gridandogli ‘zingaro’ – scrive Condò – non ha nulla di passionale, come ululare a Romelu Lukaku perché è nero, invocare un’eruzione del Vesuvio per liberarsi dei napoletani, chiamare in causa Anna Frank per insultare gli ebrei, deridere un giocatore omosessuale e così via. Usare una categoria in senso insultante è un gesto razzista e come tale va punito. Non è la stessa cosa di un insulto personale”.
Feste nazionali. Il Corriere pubblica un sondaggio che interroga gli italiani su quale tipo di relazione affettiva e di senso di appartenenza li leghi a festività civili come il 25 aprile e il 2 giugno. “Dalla rilevazione emerge un paradosso: le festività che dovrebbero rappresentare un tratto identitario e momento di unità del Paese, in realtà dividono gli italiani quanto a coinvolgimento suscitato dalle singole ricorrenze. – si legge nel pezzo del sondaggista Nando Pagnoncelli che analizza i dati dell’indagine – Infatti, il 58% dichiara di sentirsi coinvolto dalla Festa della Repubblica e dall’Anniversario della Liberazione dal nazifascismo (contro il 42% poco o per nulla interessato), il 53% segue la Festa del Lavoro e solo una minoranza, il 44%, mostra interesse per le celebrazioni del 4 novembre, in occasione della Festa dell’unità nazionale e delle Forre Armate”. Inoltre nel corso degli anni la ricorrenza del 2 Giugno viene sempre più considerata la vera festa nazionale di tutti gli italiani “passando dal 30% del 2004 al 37% odierno e superando per la prima volta il 25 Aprile che, specularmente, scende dal 37% del 2004 al 30%. Le opinioni variano in relazione all’orientamento di voto, infatti la Festa della Repubblica prevale tra gli elettori del centrodestra (Fdl 50%, tra gli altri del centrodestra 53%) mentre la Liberazione tra quelli del centrosinistra (Pd 50%). Va sottolineato che tra gli elettori di FdI quasi uno su quattro (23%) mette al primo posto il 25 Aprile. E va sottolineato pure il fatto che il 28% degli astensionisti non sia in grado di rispondere a questa domanda”.
Nostalgici. Tra saluti romani, strette di avambracci e “camerata” scanditi, i nostalgici del fascismo si ritrovano sul Lago di Como. Prima a Dongo, dove il 27 aprile 1943 Benito Mussolini fu arrestato, quindi sul luogo della fucilazione avvenuta il giorno dopo a Giulino di Mezzegra, racconta La Stampa. Sempre a Dongo è stato organizzato, in risposta, un presidio antifascista.
Onu. La Stampa ospita un editoriale a firma di Piergiorgio Odifreddi intitolato “Per costruire la pace serve un Onu nuova”. In un passaggio si cita Einstein che, scrive Odifreddi, “diceva che c’è un unico modo per raggiungere veramente la pace: smetterla di pensare in termini locali e nazionali, e incominciare a pensare in termini globali e mondiali”. “Quando Israele gli offri la presidenza del nuovo stato di Israele, – prosegue Odifreddi – lui la rifiutò”. “Sapeva – la tesi della firma de La Stampa – che chi cerca veramente la pace non può fare il ministro o il presidente, perché finirebbe di perseguire gli interessi del proprio paese, e non quelli del mondo intero. Ed è appunto per questo motivo che si fanno le guerre. Einstein aveva in mente un governo mondiale, che però non può essere quello delle odierne Nazioni Unite”. Einstein nella sua risposta all’offerta di presidenza d’Israele, si diceva “rattristato e imbarazzato di non poterla accettare”. E aggiungeva “Per tutta la vita mi sono occupato di questioni oggettive, quindi mi mancano sia l’attitudine naturale che l’esperienza per trattare correttamente con le persone e per esercitare funzioni ufficiali”.
Raiz. Il Foglio intervista la voce storica degli Almamegretta, Gennaro Della Volpe in arte Raiz. “Un napoletano dispari: non puoi ingabbiarlo in un genere, in un ruolo o nel folklore. È’ ‘poroso’, – scrive il Foglio – come diceva Walter Benjamin di Napoli: assorbe e restituisce suggestioni che includono anche l’appartenenza alla piccola ma antica comunità ebraica partenopea”. Con il cantate il quotidiano parla anche dello scudetto del Napoli “che è calcio ma tanto di più: memoria degli scudetti precedenti, di Maradona, del Mediterraneo, di un’identità collettiva che conduce a ritroso fino al fondatore del club, l’illuminato imprenditore ebreo Giorgio Ascarelli, il cui volto è impresso su una maglietta azzurra che Raiz ha indossato per la festa”.
Scioperi. “Ormai preferiamo rimanere bloccati per uno sciopero del trasporto pubblico piuttosto che a metà della nostra serie televisiva preferita”, lo scrive Gabriele Segre su Domani, usando lo sciopero degli sceneggiatori di Hollywood come spunto di riflessione sui comportamenti delle società contemporanee, sempre meno disposte – scrive Segre – ad “accettare che le cose possano avere un fine”. In questo modo però “niente può davvero avere un inizio”.
Attacchi. Sul Giornale Luigi Mascheroni firma un pezzo contro il ritorno di Gianfranco Fini nel dibattito pubblico. In un passaggio si legge che “i casi sono due: o vuole una poltrona in Europa oppure mira a un programma di approfondimento politico su La7. Stasera va in onda lo speciale ‘La destra e i rigurgiti antisemiti nel Paese’, conducono Gianfranco Fini e David Parenzo”. Questo il tono dell’editoriale, in cui si aggiunge che tra i consiglieri di Fini c’è Alessandro Ruben, descritto nel pezzo sul Giornale come “politico, avvocato, ebreo, lobbista, compagno di Mara Carfagna. È l’amico amerikano, il suo apri-porte dei salotti buoni, l’uomo che gli ispira la visita a Gerusalemme del 2003. – scrive ancora Mascheroni – Commozione, Kippah e il ‘fascismo male assoluto’ (una fake news: la frase si riferiva alle leggi razziali, ma la stampa prese la parte per il tutto)”.
Daniel Reichel