L’alluvione in Emilia-Romagna

Sono nove le vittime dell’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna in queste ore, con oltre 20 fiumi esondati. Gli sfollati e le persone fatte evacuare sono migliaia. Anche per la giornata di oggi resta allerta rossa nella regione, con scuole chiuse fra Cesena e Bologna, le aree più colpite. “Le campagne alluvionate dell’Emilia-Romagna sono diventate un gigantesco pantano e l’acqua, a volte impetuosa a volte gentile, si è presa le strade e le piazze dei centri urbani, ne ha fatto torrenti o pozze insuperabili. – il resoconto del Corriere della Sera – Da Bologna a Forlì, da Ravenna a Cesena, a Budrio come a Faenza, a Imola, Castrocaro, Lugo, e poi lungo la Riviera fin giù, nelle Marche… Dopo ore e ore di diluvio il conto da pagare è ovunque altissimo, a cominciare dal prezzo più grande, quello delle vite umane”.
Sul Corriere Paolo Giordano sottolinea come sia il momento di concentrarsi sugli alluvionati, ma allo stesso tempo non ci si possa sottrarre dal riflettere sull’emergenza. E “ribadire il concetto centrale, il più ambiguo ma anche il più devastante della crisi climatica, nonché quello che continua a sfuggire ai più: crisi climatica significa l’aumento in intensità e in frequenza dei fenomeni estremi. – evidenzia Giordano – Di un segno e di quello opposto: siccità e alluvioni, ondate di caldo e ondate di gelo. La parola chiave, quella su cui sventatamente non è stato concentrato lo sforzo comunicativo dall’inizio, è proprio ‘estremo’. Siamo già entrati in un’epoca in cui il clima, in ogni sua manifestazione, è più estremo di come lo conoscevamo”.

Geopolitica delle linee ferroviarie. Continua a rafforzarsi la cooperazione tra il regime russo e quello iraniano, anche in virtù delle sanzioni occidentali che pesano su entrambe le economie. Ieri i presidenti Putin e Raisi hanno annunciato un ambizioso progetto ferroviario. È allo stato embrionale, ma secondo il Cremlino “promette di rivoluzionare commerci, trasporti ed equilibri internazionali, creando una via di comunicazione alternativa al canale di Suez dal mar Baltico all’oceano Indiano, in grado di portare dalla Russia all’India, passando per Iran, Azerbaigian e altri Paesi”, scrive Repubblica. Si tratta, prosegue il quotidiano, di un progetto complicato ma che preoccupa l’Occidente “perché la via ferroviaria russo-iraniana, come la nuova Via della Seta cinese, punta a cambiare gli equilibri geopolitici non solo dal punto di vista commerciale. Anche per questo l’America sta incoraggiando un progetto rivale: una rete ferroviaria e marittima che unisca Medio ed Estremo Oriente, dall’Arabia Saudita all’India, attraversando magari in futuro pure Israele, nella prospettiva di una normalizzazione fra Gerusalemme e Riad ora frenata dalle difficoltà del governo di estrema destra di Benjamin Netanyahu”, spiega Repubblica. Di quest’ultima iniziative “ne avrebbe discusso il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Jack Sullivan nella sua recente visita a Riad e pure con i rappresentanti di Nuova Delhi e degli Emirati Arabi Uniti”.

Eastmed. Il gasdotto EastMed tra Israele e Italia si può fare, ma è un progetto molto complesso sul piano tecnico e necessita di un accordo con la Turchia su quello geopolitico. Così, racconta Milano Finanza, Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, ha risposto ieri in audizione alla Camera, interpellato nell’ambito delle possibili interlocuzioni del governo italiano con i Paesi interessati allo sviluppo della pipeline, ovvero Israele, Cipro e Grecia. Nel suo intervento Descalzi ha inoltre rilevato come sul fronte del gas “le interconnessioni internazionali ormai non sono state più fatte attraverso pipeline, l’ultima grossa l’ha fatta Eni con il GreenStream dalla Libia, finalizzato nel 2004. Tutti i successivi sviluppi sono stati fatti sempre per il gas naturale liquefatto, che ha la possibilità di raggiungere mercati differenti”.

La retorica di Putin. In un messaggio inviato alla Comunità ebraica russa, Putin ha riproposto la retorica secondo cui l’aggressione all’Ucraina sarebbe una lotta contro “i seguaci del nazismo”. Il presidente russo ha così rispolverato, sottolinea la Stampa, “la vecchia menzogna secondo cui il governo ucraino sarebbe un covo di fascisti: una falsità ancora più assurda se si pensa che Zelensky ha origini ebraiche. Per rendere più toccante il suo messaggio propagandistico, Putin cerca di far apparire come una guerra difensiva l’aggressione armata che lui ha ordinato. E paragona la guerra in Ucraina a quella dei soldati sovietici contro gli invasori nazisti”. Sul terreno intanto i combattimenti più feroci sono nell’area di Bakhmut. Qui l’esercito ucraino ha dichiarato di aver riconquistato 20 kmq di territorio negli ultimi giorni, racconta ancora La Stampa. Il quotidiano sottolinea come a Kiev sia arrivato inviato del governo cinese per promuovere il “piano di pace” di Pechino. Ma il governo ucraino, alla luce dell’alleanza Cina-Russia, ha messo in chiaro che “L’Ucraina non accetta nessuna proposta che preveda la perdita di propri territori o il congelamento del conflitto”.

Il passato ucraino e italiano. Sul Foglio Adriano Sofri si sofferma sulle accuse all’Ucraina di oggi di essere nazista. Accuse che hanno sponde anche in Italia. Sofri ricorda il passato del paese, evidenziando i legami che ci furono con il fascismo prima e il nazismo poi e richiamando le responsabilità ucraine nella Shoah. Alcune figure, a cominciare da Stepan Bandera, sono celebrate come simboli del nazionalismo ucraino, dimenticando la sua adesione al nazismo. “Quel retaggio è ancora al centro della battaglia di memorie nel paese”, sottolinea Sofri. “Detto questo, – prosegue la firma del Foglio – conviene ricordare alcune fastidiose analogie e alcune differenze fra l’Ucraina e l’Italia. L’Italia fascista fu ispiratrice del nazionalsocialismo hitleriano, del razzismo antislavo, anticipatrice delle leggi razziste antisemite, alleata servile nella guerra, coautrice della caccia e dello sterminio degli ebrei cittadini italiani. Per colmo di desolazione, gli eredi di quella Italia fascista e poi repubblichina sono arrivati, attraverso una lunga, non lunghissima, peripezia, al governo repubblicano del nostro paese. Il concetto di “denazificazione”, insensato in ambedue i casi, a prenderlo sul serio peserebbe più sull’Italia contemporanea che sull’Ucraina”.

Antisemitismo e complotti. Il ceo di Tesla e proprietario di Twitter Elon Musk ha scritto una serie di messaggi contro l’investitore statunitense Georges Soros che rimandano a cospirazioni antisemite. Tutto è iniziato dal tweet “Soros mi ricorda Magneto”, ovvero il mutante e antieroe della Marvel (fu creato da Stan Lee e Jack Kirby) sopravvissuto alla Shoah che “lotta per aiutare i mutanti a sostituire gli umani come specie dominante”, secondo la descrizione ufficiale del personaggio. Rispondendo poi alle critiche al suo tweet, Musk ha scritto che Soros, spesso obiettivo delle teorie del complotto antisemite, “odia l’umanità e vuole erodere la struttura stessa della civiltà”. I commenti sono stati scritti tre giorni dopo la notizia sulla vendita da parte del fondo d’investimento di Soros di tutte le azioni Tesla. “Il governo israeliano ha condannato la sua retorica come ‘antisemita’ (e fra Israele e Soros non corre buon sangue)” evidenzia il Foglio raccontando la vicenda. A criticare i commenti di Musk anche Jonathan Greenblatt, Ceo dell’Anti-Defamation League, sottolineando come le sue uscite non faranno altro che incoraggiare gli estremisti. “La svolta antisemita di Musk più che un allontanamento dalle sue posizioni precedenti, è una inevitabile conclusione della sua traiettoria”, ha scritto su The Atlantic Yair Rosenberg, ripreso da La Stampa. Rosenberg, evidenzia il quotidiano torinese, ha ricordato “come attaccare Soros non è di per sé antisemita, lo diventa se invece di mettere in discussione le sue idee politiche o il suo operato lo si dipinge come un supercattivo, un ‘avatar del male’, in accordo con la madre di tutte le teorie complottiate secondo la quale dietro ai problemi del mondo ci sono ricchi ebrei che speculano manovrando il resto dell’umanità come pedine”.

Difendersi. “L’organizzazione terroristica del Jihad palestinese (Palestinian Islamic Jihad, PIJ) solo nella giornata del maggio ha sferrato più di 100 attacchi contro Israele, lanciando razzi dai quartieri residenziali della Striscia di Gaza, usando i civili come scudi umani. In risposta, le forze armate israeliane, supportate dall’intelligence, hanno condotto a partire dal 9 maggio l’operazione Shield and Arrow”, lo scrive su Libero Giulio Terzi di Sant’Agata, ricordando la genesi dell’ultima operazione israeliana, che ha eliminato alcuni dei vertici della Jihad islamica, finanziata dal regime iraniano. Quest’ultimo, scrive Terzi di Sant’Agata, è il “vero centro motore anche delle proxy wars palestinesi contro Israele. La guerra in Ucraina, dato il supporto iraniano alla Russia e il supporto cinese a Iran e Russia, sta rendendo solo più lampante che il diritto di Israele a difendersi è un tema che va molto oltre il Medio Oriente”.

Germania, golpisti a processo. Sono accusati di aver pianificato un colpo di Stato, di fare parte di un’organizzazione terroristica e di voler rapire il ministro della Salute tedesco, Karl Lauterbach. I cinque sospettati, quattro uomini e una donna di 75 anni, capobanda del gruppo, sono a processo a Coblenza per aver tramato al fine di rovesciare il governo tedesco (La Stampa).

Segnalibro. È in arrivo in libreria Guerra, il primo degli inediti di Louis-Ferdinand Céline recuperati da Adelphi. Scrittore incendiario che “continua a fare paura”, scrive il Corriere della Sera. “È come nitroglicerina”, afferma Roberto Colajanni, alla guida della casa editrice, intervistato dal giornalista Paolo Di Stefano. In uno dei passaggi Di Stefano chiede come comportarsi con il noto antisemitismo di Céline. “È un eterno cul-de-sac, da cui è vano cercare di uscire. Per non allontanarsi da ciò che in Céline è ‘fermo e magistrale’, scriveva Guido Ceronetti nel saggio di accompagnamento al Semmelweis, per prima cosa non bisogna tentare maldestramente di perdonarlo, o anche solo di giustificarlo. – afferma Colajanni – Non bisogna arrendersi alle sue capziose autodifese. Meno che mai in nome delle sue strepitose virtù di scrittura. Non c’è niente di peggio. La sua condanna sta lì, di fronte ai nostri occhi, e non c’è modo per lui di espiarla. II saggio di Ceronetti (conoscitore profondo della cultura ebraica) è illuminante per l’implacabilità e insieme la tristezza con cui sviscera, senza paura, il tema dell’antisemitismo in Céline. E oggi dovrebbe essere letto e meditato dai suoi odiatoti e ammiratori”.

Daniel Reichel