Il caso Mortara,
al cinema e in libreria

Giovedì 25 maggio, nelle sale italiane, entrerà un film molto atteso. Grandi sono infatti le aspettative, anche a Cannes dove è in concorso, per valutare come il suo ultimo lavoro “Rapito” (titolo corretto in corso d’opera, partendo da “La conversione”) sarà stato in grado di affrontare una delle vicende più drammatiche e al tempo stesso significative nei rapporti tra Chiesa ed ebrei ai tempi dell’ultimo “papa re”: il celebre caso Mortara, ovvero il ratto del piccolo Edgardo sottratto ai suoi cari nell’abitazione nel cuore di Bologna dove vivevano inconsapevoli di quel che si stava preparando perché, almeno così si sostenne, battezzato in segreto dalla domestica cattolica. Edgardo, rapito dai gendarmi pontifici il 23 giugno del ’58, non avrebbe più fatto ritorno. Partendo dalla Casa dei Catecumeni a Roma, dove fu vittima di una feroce propaganda antiebraica, la strada per lui scelta da Pio IX sarebbe stata quella di una carriera nelle istituzioni della Chiesa. Ma quella violenza inflitta al diritto naturale, nel segno di un antigiudaismo distintivo anche di quel papato illusoriamente salutato agli esordi come portatore di novità e benefici, sarebbe stata gravida di conseguenze. Come sottolineato tra gli altri dalla studiosa Elèna Mortara, nel nuovo clima liberale dell’epoca, e grazie alla reazione della famiglia che non accettò in silenzio il sopruso, il fatto, iniziato a Bologna e conclusosi a Roma, “suscitò enorme scalpore internazionale, sia in Europa che in America, e anche in paesi di tradizione cattolica come la Francia”. Rivelando all’opinione pubblica il carattere inflessibilmente illiberale di un regime e di una legislazione che non riconoscevano l’uguaglianza di diritti di tutti i cittadini davanti alla legge indipendentemente dalla loro confessione religiosa, contribuì infatti in modo decisivo “alla perdita di prestigio papale, favorendo nel 1859-61 il processo di annessione al Regno di Sardegna e poi al Regno d’Italia di varie parti dello Stato Pontificio”. Dieci anni dopo, ricordava ancora in un suo recente intervento pubblicato ne “I ‘Misteri’ di Roma. Personaggi e stereotipi della Roma ottocentesca” (ed. LuoghInteriori), con la conquista di Roma da parte del Regno d’Italia nel 1870 “si sarebbe arrivati alla definitiva fine del potere temporale”. Tra i liberatori della città Riccardo Mortara, fratello maggiore di Edgardo, con cui avrà un complesso incontro.
Una lettura indispensabile in questo senso è “Prigioniero del papa re” (ed. Rizzoli), opera del premio Pulitzer David Kertzer, leggendo la quale Steven Spielberg si era convinto a realizzare un film sul caso Mortara. Testo di fondamentale importanza storica e che ha molti meriti, tra cui quello di svelarci come illustri personalità del tempo, tra cui Cavour e Napoleone III, approcciarono questa vicenda e l’effetto che l’abuso compiuto da Pio IX ebbe sulle loro scelte. È stato proprio Kertzer, nel solco di una strada aperta in precedenza da Gemma Volli in alcuni suoi articoli pubblicati sulla Rassegna Mensile di Israel, a riportare l’attenzione su fatti che, per quanto centrali negli sviluppi e nella definizione di un’epoca, erano stati in gran parte dimenticati. Un vuoto colmato da anni di studio intenso sulle carte. Ciò che rese singolare il caso Mortara, annota l’autore nelle sue conclusioni, non furono “il battesimo forzato e la sottrazione alla famiglia di un bambino ebreo, ma il fatto che, dopo secoli in cui eventi simili accadevano regolarmente, il mondo vi si interessò e insorse protestando”.
Non solo Kertzer ha scritto del caso Mortara. L’ha fatto tra gli altri anche Daniele Scalise, autore del “Il caso Mortara” (ed. Mondadori), il testo cui Bellocchio ha scelto di ispirarsi per immaginare la trama del suo film. Scalise torna ora nelle librerie con “Un posto sotto questo cielo” (ed. Longanesi), un romanzo, che avrà una sua prima presentazione in ambito ebraico nei giorni del Salone del Libro di Torino. L’appuntamento è nei locali comunitari per questa domenica, alle 18. Con l’autore ci saranno Elèna Mortara, il presidente della Comunità ebraica torinese Dario Disegni e il presidente della sezione locale dell’Associazione Italia-Israele Dario Peirone.
Un altro libro di cui tener conto è “L’ultimo degli oblati” di Pier Damiano Ori e Giovanni Perich, romanzo del 1983 ripubblicato da Pendragon. In uscita in concomitanza con la distribuzione cinematografica di “Rapito”, è arricchito da una prefazione di Kertzer che offre già in partenza vari spunti di riflessione. Tra i motivi per cui è necessario relazionarsi anche con quest’opera, premette lo studioso, ci sono alcuni “intriganti lati oscuri” che i due autori vanno a illuminare. Alcune domande restano infatti inevase. “Il bambino – si chiede Kertzer – era stato portato via su ordine dell’Inquisizione in quanto sarebbe stato battezzato da una domestica analfabeta. Ma è davvero andata così? Praticamente tutti i resoconti del caso danno per scontato che questo battesimo sia effettivamente avvenuto, eppure, come ho sostenuto nella mia ricostruzione storica di quegli eventi, esistono valide ragioni per dubitare del fatto che Anna Morisi abbia mai battezzato Edgardo”. L’altro aspetto “alquanto nebuloso” che Ori e Perich hanno il merito di evidenziare è l’impatto di tali eventi sulla personalità di Edgardo prima bambino e poi adulto. “La sua vita da prete è stata serena e appagante oppure le sue esperienze infantili gli riservarono il retaggio di un animo tormentato?”, si domanda al riguardo Kertzer. “Dopo aver letto le lettere e i diari che Edgardo scrisse alla fine del diciannovesimo secolo, non posso che concordare con il ritratto di lui da adulto che Ori e Perich tracciano in queste pagine”.

Adam Smulevich

(Nelle immagini: “Il rapimento di Edgardo Mortara”, quadro dipinto nel 1862 da Moritz Daniel Oppenheim; una scena di “Rapito”, il film di Marco Bellocchio in concorso al Festival di Cannes; la copertina de “L’ultimo degli oblati”, nuova edizione del romanzo di Pier Damiano Ori e Giovanni Perich in uscita il 26 maggio con Pendragon).