Il significato di Yom Yerushalaim
Oggi, Yom Yerushalaim, celebriamo 56 anni di unificazione della città capitale dello Stato di Israele. Un luogo speciale che raccoglie, assorbe e riverbera sogni, speranze e rivendicazioni storiche e politiche. Una festa speciale che associa preghiere antiche e preghiere nuove. Sono a Gerusalemme in questa speciale giornata e vederla così tanto rivestita di bianco e blu, stracolma di giovani, famiglie e partecipanti alle numerose iniziative genera una profonda commozione.
Chi ci è nato e ha vissuto gli anni dell’infanzia si trova a constatare, sempre più, quanto gli antichi monumenti di eterna fede siano circondati di strade, quartieri, poli museali, centri di ricerca innovativa e commerciali di recente costruzione che hanno trasformato totalmente il piano urbanistico e il modo di vivere la città. Quella semplicità delle quattro strade, dei quattro kmq e della linea bus quattro alla quale eravamo abituati è parte del passato, e quel pizzico di nostalgia personale si abbina all’orgoglio collettivo per quanto costruito oggi. Il tributo di memoria va anzitutto a coloro che hanno combattuto e sono caduti nella guerra di liberazione della nostra città eterna, raggiunto quei pochi metri di muro le cui pietre da secoli attendevano quella mano appoggiata e la preghiera ebraica. Tributo di memoria anche a chi l’ha guidata, narrata in innumerevoli racconti e romanzi, rappresentata magistralmente in poche righe di poesie divenute inni e canti incisi nell’anima, ammirazione per gli architetti, ingegneri e maestri di ogni arte che hanno progettato e realizzato il suo sviluppo, a chi ci ha semplicemente vissuto in questi decenni e che ne conosce anche il gergo, slang yerushalmi, nel miscuglio con altre lingue.
Chiunque arriva nella città – ma anche chi non ci è mai stato – sente un legame con questo luogo, e non solo per l’impatto di quanto accade sul piano politico o per trasmissione di valori religiosi. C’è qualcosa che va oltre. E con senso di realismo, al di là delle forti emozioni di gioia e orgoglio, ci dobbiamo rendere conto che il tema che sta al centro delle celebrazioni e della festa, culminata ieri sera con la danza-marcia delle bandiere di Israele, non è solo quello della riconquista di sovranità dopo 2000 anni di esilio, unificazione e memoria del ’67, magnificenza e crescita nel tempo e nello spazio, ma lo snodo politico-sociale che Gerusalemme rappresenta a livello israeliano e internazionale. È il luogo a cui arriva e da cui parte ogni ragionamento e ogni sfida di convivenza. Convivenza e riconoscimento di come ci si definisce ebrei e come si sceglie di tramandare l’ebraismo e il sionismo, di come persone osservanti e non, credenti e non, esprimono il proprio legame con le generazioni e la storia del popolo ebraico; convivenza tra persone di fedi diverse che non si riduce all’emozione dello shofar, alle campane e al muezzin che tuonano a distanza di poche ore, ma presuppone riconoscimento e rispetto dell’altrui fede, spazi di preghiera e vita. Convivenza tra arabi e israeliani, musulmani ed ebrei che presuppone riconoscimento, accettazione del perimetro geografico comune di una città unificata, accordare sicurezza anche all’altro, coltivare la speranza non solo per noi ma anche per gli altri.
Non so se a descrivere le sfide, mantenere le tutele e sostenere le fatiche di oggi, quel concetto di “status quo” stabilito ormai parecchi decenni fa in una Israele-Gerusalemme totalmente diversa, sia ancora quello maggiormente efficace o se gli sforzi debbano essere incanalati verso altre forme di consenso blindato che solo un convinto desiderio di vedere convivere le future generazioni può generare, ma mi è chiaro che la polarizzazione nelle relazioni, nella dialettica politica, la distorsione mediatica interna così come quella dei notiziari internazionali anti israeliani di default non aiutano. Forse affermare la sacralità dei luoghi di culto come principio di neutralità e di rispetto verso ogni entrante, lasciando esterna ogni altra pretesa, genererebbe una convivenza avanzata, senza violenza e attentati. A Gerusalemme e, quindi a specchio, in ogni parte del mondo.
Molto però dipende da noi, singoli cittadini o visitatori, nell’esempio personale che cerchiamo di trasmettere. Nel vedere il bene, bello, ovvio (che non è) della convivenza e il valore della vita che scorre anche nei giorni che non sono marcati in nessun calendario. Vivere la giornata di oggi – Yom Yerushalaim – con doverosa consapevolezza della svolta storica per l’intero popolo ebraico e il mondo intero, dedicandola anche con piccoli gesti al rilancio della convivenza più che alla rivendicazione o all’ostentazione, ricordando che le pietre – quelle millenarie – hanno un cuore che batte ancora oggi e da cui molto abbiamo da imparare.
Noemi Di Segni, Presidente UCEI