Impronte di luce, la poesia
che illumina la vita

Marina Arbib, Impronte di luce ‘akavoth shel or, Sifre ‘iton77, Tel Aviv 2023 (in italiano e in ebraico).
Devo a Marina Arbib la mia iniziazione agli “Haiku”, e gliene sono grato. Un genere di componimento poetico ideato nel Giappone del XVIII secolo che non a caso ha affascinato il mondo della psicologia e che colpisce per le sue linee essenziali, che fanno del silenzio e della riflessione una componente fondamentale. Il solo tentativo di comporre una “recensione” a questo genere di letteratura introspettiva è percepibile come una piccola violenza, incolpevole, verso un testo che chiede di spiegarsi da solo e che non ha bisogno di commenti.
Chiedo quindi scusa a Marina Arbib per queste mie parole di troppo con le quali voglio consigliare al pubblico di leggere le sue deliziose “Impronte di luce” recentemente pubblicate in italiano e in ebraico. Non si tratta solo di componimenti poetici. A questi vengono associati in maniera programmatica alcuni scatti fotografici resi possibili (secondo quanto ci dice l’Autrice) solo dalla disponibilità di un cellulare dotato di una buona ottica per cogliere immagini nell’immediatezza. Per una buona volta le nuove tecnologie vengono così apprezzate per le loro potenzialità e non censurate a causa del loro uso dissennato e alienante. Emerge con forza l’esigenza interiore di cogliere e fissare le immagini nell’attimo in cui l’occhio le percepisce, quei particolari colori su un muro sbrecciato, la prorompente necessità dei semi di melagrana di palesarsi dall’interno del frutto, il lento e colorato ammuffire di un limone che dialoga con una vecchia tovaglia toscana. Al contempo, descrivere con poche parole e molti silenzi quelle immagini, e altre che restano inespresse, facendo echeggiare sullo sfondo la forza mistica degli spazi bianchi fra le lettere. La sfida dell’autotraduzione italiano-ebraico (e/o viceversa) dei versi proposti da Marina Arbib è in questo contesto affascinante ed efficace. Una lettura che, malgrado l’essenzialità dei testi, richiede tempo, calma e predisposizione alla riflessione. Solo così saremo in grado di cogliere l’impressionante conflitto di sensazioni che permette alla poetessa di intravedere farfalle in situazioni estreme, nel momento che la vede costretta a ripararsi in una stanza protetta mentre su Tel Aviv piovono missili. Questo l’unico testo che propongo, rimandando all’intero libro le gentili lettrici e i cortesi lettori:

Missili su Tel Aviv
Sulle scale una sola finestra
Tenuta insieme dal nastro adesivo
Attaccato in fretta,
Cade un missile
Sulle scale una sola finestra
Per un momento trema
Come ali di farfalla che precipita
Nella luce della lampadina.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

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