La proiezione a Roma
Edgardo Mortara,
storia di un rapimento

Sono giornate intense per Marco Bellocchio, impegnato nella promozione del suo nuovo film “Rapito” nelle sale italiane. Da Bologna dove Edgardo Mortara era nato nel 1851 per arrivare ieri a Roma, la città in cui – dopo la sottrazione alla propria famiglia da parte della Gendarmeria pontificia – fu costretto a crescere come cristiano dalla Chiesa dell’ultimo papa re. Un film di grande forza storica ed emotiva. Tornato senza premi dal Festival di Cannes, dove era in concorso, ma con l’apprezzamento della critica sia italiana che internazionale. “Il fatto è che io non ho mai ricevuto nessun premio a Cannes, a parte la Palma d’Oro onoraria. Ma non cambierebbe nulla, anche se non venissi premiato in questa edizione. Semmai spero che qualche spettatore vada al cinema, questo è l’importante” le parole di Bellocchio, nel presentarsi sulla Croisette. Un messaggio ribadito nelle scorse ore, nel corso di un evento al Cinema Eden che ha rappresentato un’occasione d’incontro e confronto sui temi del suo film con il mondo ebraico, organizzata dalla Comunità di Roma. Ad aprire la serata una riflessione del rabbino capo rav Riccardo Di Segni.
Dopo la proiezione hanno inoltre preso la parola, moderati dalla giornalista Ariela Piattelli, direttrice del giornale comunitario Shalom, il regista stesso, alcuni attori di “Rapito” e la presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello. Dal pubblico sono inoltre arrivati alcuni stimoli ulteriori da parte tra gli altri di Elèna Mortara, pronipote di Edgardo e autrice di alcuni saggi di grande importanza sulla vicenda, e della rappresentante dell’American Jewish Committee in Italia e presso la Santa Sede Lisa Billig. Proprio rav Di Segni firma quest’oggi un intervento sulle pagine di Repubblica. “Rivangare il caso Mortara oggi significa anche riproporre una discussione sulla storia del Risorgimento e sulle diverse visioni della figura di Pio IX. Le recensioni che in questi giorni sono state pubblicate risentono anche del peso di queste polemiche, mai sopite, anche se stupiscono un po’ le difese d’ufficio dell’ultimo papa re. Ma c’è di mezzo anche, e non di poco conto, la storia dei rapporti tra ebraismo e cristianesimo”, scrive il rav. In questo senso, prosegue la sua analisi, “il tema delle conversioni, della pressione conversionistica, e in particolare delle conversioni dei minori ‘invitis parentibus’, ossia contro la volontà dei genitori, è stato sempre un nervo scoperto”.