Il progetto in corso a Venezia
Sifré Torà, il precetto del restauro
“U mi midbar mattanà u mi mattanà nachaliel… Dal deserto a Mattanà e da Mattanà al dono divino” (Bemidbar, 21). I commentatori spiegano questo versetto della parashà di Balaq che leggeremo questo Shabbat insieme a quella di Chuqqat, paragonandolo alla condizione del popolo ebraico nel corso della sua storia: il deserto (midbar) è il luogo di nessuno (hefker). Così il popolo uscito dall’Egitto, non avendo ancora una sua identità, si considera hefker (senza alcuna appartenenza). Mentre, con il dono della Torà (mattanà), diventa “appartenente al Signore” (nachaliel). Il che lo porta spiritualmente alla condizione più elevata (bamòt) che un popolo possa mai raggiungere. La Torà è chiamata “mattanà – dono divino”: per questo ogni ebreo ha il dovere di porla come punto di riferimento, onorarla, studiarla e osservarne le mitzwot. Ogni ebreo ha il dovere di onorare la Torà e conferirle onore: “Utnù khavod la Torà”.
Ci sono in Italia, in ognuna delle nostre Comunità, centinaia di sifré Torà; numerosi di essi sono tenuti da parte, senza la possibilità di essere letti. E, in molti casi, in condizioni di non uso poiché pesulim – non idonei. Ogni ebreo ha il dovere di riportarli alla condizione di essere kesherim, ossia permessi alla lettura.
Mi ricordo che, appena arrivato a Bologna, un anziano della Comunità mi esortò ad occuparmi dei sefarim pesulim, chiedendomi di correggerli con calma, uno alla volta, per riportarli alla loro condizione ideale. Ero troppo occupato per dedicarmi anche a questa grande mitzwà. Ho sempre cercato però di adoperarmi per migliorarne la condizione.
Mi disse: “Ricordati che tutti i sifré Torà, pur contenendo il medesimo testo, contengono l’anima di chi a suo tempo li scrisse, adoperandosi con tutte le sue forze a compiere la grande mitzwà di scriverne uno. Se esso non viene letto perché è pasùl e non viene riparato è come se quel sofèr fosse dimenticato”.
Arrivato a Venezia, ho notato che nelle meravigliose sinagoghe che si trovano in questa antica e importante qehillà sono riposti decine e decine di sifré Torà appartenenti a Maestri della storia e della tradizione ebraica che vissero nei secoli qui; molti addirittura scritti di proprio pugno (Itzchaq ben Shemuel Aboaf; se ne è trovato uno dove viene citato il nome di ARÌ ha qadosh, il Maestro Itzchaq Luria, con una scritta che dice di essere stato dato come garanzia alla Comunità veneziana).
Gran parte di essi sono pesulìm. Ma, insieme al Consiglio, si è voluto fortemente riportarli al loro antico splendore dando loro, per prima cosa, un degno ripostiglio. E in seguito, tentando di ripararli attraverso l’opera di due soferim chiamati da Israele e da altri luoghi. È stata ripristinata la “stanza dei sefarim”, totalmente restaurata, dove sono stati riposizionati degnamente. I due soferim che ad oggi stanno lavorando hanno l’incarico di riparare gradualmente i sifré Torà, sperando di renderli tutti kesherim.
L’orgoglio di un rav e del Consiglio di una Comunità si vede anche dalle opere di manutenzione dei batté ha keneset e dei loro oggetti di culto per fare in modo che possano vivere, attraverso la partecipazione dei frequentatori, una atmosfera di qedushà. Posso ritenermi veramente fortunato nel vedere quanto impegno si sta mettendo in questa imponente opera di rivalutazione del patrimonio ebraico, non solo museale ma anche e soprattutto di avodat ha qodesh – culto sacro, grazie anche alla partecipazione dei nostri iscritti. E con quanto entusiasmo e volontà ci si sta adoperando per il completamento dell’opera, affinché i nomi di chi ha scritto quei preziosi sifré Torà nei secoli trascorsi e di chi costruì quelle meravigliose sinagoghe, anche con grandissimi sforzi economici, tornino all’antico splendore e alla loro qedushà. Chazzaq uvarukh al Consiglio e ai membri della nostra Comunità.
Kol ha kavod.
Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Venezia