Leopardi e la lingua ebraica,
formazione di un autodidatta
Aveva 15 anni Giacomo Leopardi quando iniziò ad interessarsi allo studio dell’ebraico, da autodidatta, sfogliando i libri del padre. Tra cui una Bibbia poliglotta.
Un interesse che avrebbe influenzato profondamente la sua opera e di cui però poco in genere si sa e pochissimo è stato scritto. A correggere la rotta l’impegno di una giovane studiosa, Miriam Kay, tra le vincitrici della sedicesima edizione del Premio “G. Leopardi” assegnato annualmente a tesi di laurea distintesi per il contributo offerto alla comprensione del grande poeta e del suo lascito intellettuale. Quella di Kay, discussa all’Università Sapienza nel 2020, si intitola “La più antica immaginazione. Leopardi e l’ebraico: testi, lingua e stile” e ha tra gli obiettivi quello di individuare le coordinate cronologiche dell’apprendimento di questa lingua, nonché di restituire un quadro il più possibile completo dei testi che Leopardi potrebbe aver utilizzato a tal fine. In questa direzione – afferma Kay, oggi dottoranda in Studi Italianistici all’Università di Pisa in cotutela con l’Université Sorbonne Nouvelle di Parigi – sono stati svolti l’analisi e il commento delle osservazioni sull’ebraico contenute nello Zibaldone e si è poi passati alle prove giovanili di traduzione dall’ebraico in diverse lingue di arrivo. Un tema affascinante, ma quasi del tutto inesplorato. “Ho trovato solo pochissimi articoli che, nell’arco di duecent’anni, abbiano affrontato la questione. Ed evidentemente non in modo approfondito, perché in poche pagine non si può esaurire un argomento così ricco e complesso” sottolinea Kay, la cui attrazione per l’argomento è iniziata a maturare proprio durante il suo percorso di studi universitari. Il risultato sono stati questa tesi e vari articoli e saggi.
“All’interno dell’officina scrittoria dello Zibaldone – mette in rilievo l’autrice – l’interesse per la lingua ebraica attraversa un arco cronologico di circa dieci anni: la prima osservazione sull’ebraico rientra nelle cento pagine iniziali non datate (ante 1820), l’ultima il 20 settembre 1827. Numerose sono le riflessioni di natura fonetica, morfologica, sintattica e grammaticale che riguardano questa lingua”. Leopardi si sofferma infatti “sulla forma dei grafemi, sulle vocali e sulle consonanti, sulla struttura morfologica, sulla sintassi, sulla semantica, insistendo sulle somiglianze e differenze tra l’ebraico e le altre lingue, sia antiche che moderne”. Ciascuna di queste osservazioni “è stata verificata e commentata anche alla luce di eventuali fonti bibliografiche” e “si è cercato di ripercorrere il rapporto partecipativo che Leopardi stabilisce con le lingue, in cui le singole nozioni vengono intrecciate con più ampie considerazioni storiche, antropologiche e sociologiche”.
A breve, con l’editore Marsilio, uscirà anche un libro. Un’occasione per raccontare a un pubblico non di soli addetti ai lavori come la conoscenza libresca maturata negli anni precedenti si misurò nel 18enne Leopardi con la traduzione dei Salmi e del Libro di Giobbe (una impresa non completata). E poi “con la scrittura multiforme e stratificata dello Zibaldone”. Il libro, di prossima uscita, avrà un taglio al tempo stesso accademico e divulgativo. “Spero possa essere entrambi i pubblici, anche nella misura in cui potrà interessare studiosi e appassionati di Leopardi che non sanno dei suoi studi dell’ebraico e viceversa interessare studiosi e appassionati dell’ebraico che di Leopardi hanno magari solo conoscenze scolastiche” racconta Kay, già premiata con il riconoscimento di “laureata eccellente”. A breve dovrebbe uscire anche un suo ulteriore saggio leopardiano, su una rivista, su una rilettura dell’incipit dell’operetta Cantico del gallo silvestre proprio a partire dallo studio dell’ebraico.
Kay, che dal 2016 fa parte del Laboratorio Leopardi, è nata e cresciuta a Roma. E fino alle scuole medie ha studiato alla scuola ebraica, “dove ho appreso le basi della lingua”. Fondamentale, nello sviluppo del suo lavoro, “il contributo che mi è stato dato dal rabbino Alberto Somekh: gli sono riconoscente”.