“Jenin, un nido per il terrorismo”

Secondo le stime, centinaia di miliziani del gruppo terroristico Jihad islamica operano nell’area di Jenin, nel nord della Cisgiordania. Alcuni sondaggi promossi da enti palestinesi dicono che la Jihad islamica ha il sostegno del 25 per della popolazione. Nella stessa area operano anche decine di uomini di Hamas, il movimento del terrore che controlla Gaza. Il sostegno per loro è attorno 20 per cento tra gli abitanti. Poi ci sono altre realtà terroristiche che si sono sviluppate nel corso del tempo, formate per lo più da giovani, che hanno ampliato i pericoli per la sicurezza d’Israele. “Un nido di terroristi”, la definizione del Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per Jenin. Una minaccia contro cui l’esercito ha lanciato un’ampia operazione militare appena conclusa.
Rimangono aperti gli interrogativi sul perché da qui siano partiti negli ultimi sei mesi oltre cinquanta degli attentatori che hanno attaccato Israele. Sul perché in questa area il terrorismo si sia sviluppato in maniera così capillare. Secondo il ricercatore dell’Università Reichman, Michael Barak, il motivo è da ricercare nella struttura del campo profughi. Istituito nel 1953 per accogliere i rifugiati palestinesi, oggi conta 17mila persone, assieme alle quarantamila della città. Nel campo non vi è, spiega Barak, una struttura di clan tradizionale come nelle altre realtà palestinesi. E questo rende tutto più disomogeneo e complicato. “Il clan può esercitare pressioni sui miliziani per ridurre le attività terroristiche, ma a Jenin non c’è questa autorità. – scrive Barak in una recente indagine – Quando non c’è l’autorità del clan, i giovani vivono attraverso Internet e il dilagante incitamento che ricevono da Hamas e dalla Jihad islamica, soprattutto su TikTok. Questo è anche il motivo per cui l’Autorità Palestinese non ha nessuno a cui rivolgersi per convincere i giovani a smettere di incitare”.
Inoltre uno dei motivi principali per cui il campo profughi è diventato l’epicentro del terrorismo regionale “è il suo tasso di disoccupazione, pari al 35 per cento: quasi tre volte la media di tutta la Giudea e Samaria nel 2022 (13,1 per cento). A titolo di confronto, il tasso di disoccupazione nella Striscia di Gaza, che si trova in una situazione economica molto peggiore, è del 45,3 per cento”.
In questo quadro disastrato si sono inseriti i soldi di Hamas e Jihad islamica per favorire il terrorismo locale. Milioni di shekel che, scrive il quotidiano economico Globes, arrivano nelle casse delle due organizzazioni terroristiche grazie ad un’alleanza con i trafficanti di droga nella zona. In particolare in Siria e Libano. “Sia Hezbollah che il regime di Assad fanno affidamento sui proventi dell’esportazione del farmaco psicostimolante Captagon. La Siria domina il mercato internazionale del Captagon in modo così significativo che nel solo mese di maggio l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, l’Iraq e la Giordania hanno sequestrato collettivamente decine di milioni di pillole di Captagon per un valore di oltre un miliardo di dollari”, racconta Globes. Conosciuto anche come “la droga dei combattenti”, il Captagon, spiega il sito Valigiablu, è uno stupefacente utilizzato da militari e combattenti, come i terroristi dell’Isis, per gli effetti disinibitori e per il senso di invincibilità che dona. Viene contrabbandato anche in Giordania e da qui verso Israele. Solamente nel 2022 sono stati sventati quaranta tentativi di contrabbando di questa droga per un valore di 135 milioni di shekel, spiega Globes. “Questo indica quanto sia stato comunque contrabbandato”.
Oshri Amor, comandante dell’Unità per i confini settentrionali del Ministero della Sicurezza Nazionale, ha spiegato che “C’è un problema nazionale lungo il confine giordano, con un terreno difficile e un alto potenziale di contrabbando. Il legame tra armi e droga è indiscutibile. Il contrabbando inizia con la droga e passa alle armi e agli esplosivi alimentati dal denaro”.