Confrontarsi, necessità etica
È quasi un filone a sé stante, quello dei testi che raccontano vite trascorse tra i libri: da Il mestiere dell’editore di Valentino Bompiani a Frammenti di memoria di Giulio Einaudi, entrambi usciti alla fine degli anni Ottanta, ai più recenti Storia confidenziale dell’editoria italiana di Gian Arturo Ferrari o Balla coi libri, in cui Marcello Baraghini racconta Stampa alternativa, tutti hanno pagine da cui traspare chiara la passione per un mestiere più che coinvolgente, forse totalizzante. Anche in Un quarto di pera di Giulio Einaudi. E altre memorie editoriali non c’è un momento di esitazione. Nonostante la scarsa propensione degli italiani per la lettura è chiaro che anche per Roberto Cazzola – responsabile della germanistica per Einaudi prima e per Adelphi poi, oltre che autore di saggi e romanzi, ebraista e docente universitario – non potrebbe esserci nulla di più bello, più importante, più urgente che fare libri. Pensarli, sognarli, sceglierli, progettarli. Fare del proprio mestiere una scelta consapevole di valore e impegno civile ed etico, aprire strade che portino a una nuova comprensione del mondo insieme ai tanti incontrati e frequentati negli anni. Con Giulio Einaudi racconta di aver vissuto un rapporto forte, affettuoso. “Mi voleva bene come un padre, e anche io volevo bene a lui. Einaudi era del 1912, mio padre del 1910; lo divertivo, e anche la mia sfacciataggine lo divertiva”. Un testo ricco di episodi che danno il senso di un rapporto vivo, come quando durante una Fiera di Francoforte Einaudi lo costrinse a seguirlo nei musei per tradurgli le didascalie. “Io avrei dovuto incontrare gli editori tedeschi, ma lui diceva: lascia perdere, vieni con me…”. E di rapporti umani, oltre che di confronto, discussione, ragionamenti comuni e tantissimo lavoro sono per Cazzola fatte le pagine. Tutte. Dal rapporto con Roberto Calasso, in Adelphi, al confronto con i colleghi e con tanti autori già molto noti o ancora da portare a crescere, fondamentale resta la sensazione che l’idea più importante dell’editoria sia in fondo il “fare insieme”, cifra di una cultura editoriale impregnata profondamente di ebraismo. Senza pilpul, confronto, studio comune, scambi di idee, ambedue mancano di respiro.