Di generazione in generazione,
una testimonianza per la Memoria

Nonna e nipote, nelle scuole, per raccontare insieme una storia di famiglia e lasciare un segno vivo di Memoria. È l’esperienza che hanno vissuto nel corso dell’anno scolastico da poco conclusosi Paola Samaia e suo nipote Nicola, uno studente di dodici anni del litorale toscano. Tutto è nato sfogliando una testimonianza della madre di Paola, vittima a Livorno delle leggi razziste, estratta dal classico cassetto in cui era conservata con cura da tempo. Da lì sono partiti per ricostruirne, per sommi capi, la storia. Preparandosi poi a illustrarla in pubblico, in una “restituzione” di grande significato etico e pedagogico. Nel liceo dove la donna fu espulsa per effetto dei provvedimenti antisemiti del ’38 e poi, a seguire, in una scuola media della provincia “dove giovani dell’età di mio nipote, curiosi e molto ben preparati, ci hanno fatto un sacco di domande: un’esperienza gratificante”. Nicla Piperno, questo il suo nome. O “Nonna chicca”, come la chiama con affetto il nipote in un elaborato che è stato discusso in quella circostanza. Il racconto parte dalla storia del padre Vittorio, che aveva combattuto nella prima guerra mondiale “per la difesa della patria”, ricevendo per questo un diploma di benemerenza da parte di Mussolini e in precedenza una medaglia dall’allora ministro della guerra.
Documenti significativi e riprodotti in apertura di testo dal nipote, con a seguire la prima pagina del quotidiano locale Il Telegrafo che nel ‘38 certificherà il “tradimento” appena consumatosi ai danni degli ebrei italiani. “Gli ebrei esclusi dalla scuola fascista” si legge. “Essi”, si chiarisce nel sottotitolo, “non potranno insegnare come docenti, né essere iscritti come alunni, in scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine e grado”. Righe che Nicla, allora studentessa di liceo, cita testualmente in un suo diario. Cui affida anche il dolore e il disagio scaturito da quei provvedimenti, con l’effetto immediato di una sua espulsione (si iscriverà poi alla scuola sotto l’egida della Comunità ebraica livornese). “Mi ricordo – scrive Nicla – che stavo in primo banco ed ero sempre pronta a suggerire con l’alfabeto muto a tutti quelli che venivano interrogati. Mi ricordo che in un articolo del 3 settembre del 1938 veniva dichiarato che affidare la funzione didattica ad insegnanti ‘giudei’ significherebbe sottoporre i giovani, nel periodo formativo del loro carattere e della loro personalità, alla diretta influenza dell’ebraismo. Non c’era più nulla da fare. Incontrarsi e dirsi addio”. Dalla persecuzione dei diritti a quella delle vite: la testimonianza di Nicla Piperno prosegue fino ai mesi terribili dell’occupazione nazista del Paese, delle retate e della necessaria clandestinità. La sua famiglia riuscirà a salvarsi, tra varie peripezie, con una contraffazione anche del cognome da Piperno in Paperini, “ma con il cuore pieno di amarezza e di dolore”. Molti amici e parenti, infatti, risulteranno uccisi. “Abbiamo trascritto questa storia come l’ha riportata mia madre”, si emoziona Paola. “Sempre, quando mio nipote viene da me, cerco di trasmettergli qualcosa. Questa storia di famiglia l’ha colpito particolarmente. E visto che è anche bravo col computer abbiamo pensato di realizzare una piccola pubblicazione. Di generazione in generazione, per dare forza e valore alla Memoria”.