Crimini di guerra nazisti,
decreti e risarcimenti

Due momenti rilevanti si sono avvicendati nelle ultime settimane nella “saga” dei decreti sui risarcimenti per i crimini di guerra e contro l’umanità compiuti in danno dei cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich. Un decreto, questa volta interministeriale, a firma dei Ministri dell’Economia, degli Affari Esteri e della Giustizia, è stato emanato il 28 giugno per disciplinare la “procedura di accesso e le modalità di erogazione degli importi del Fondo per il ristoro dei danni subiti dalle vittime dei crimini di guerra e contro l’umanità per la lesione di diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945.” Pochi giorni dopo, il 4 luglio, è stata discussa alla Corte Costituzionale la legittimità costituzionale dell’art. 43, terzo comma, del decreto legge 36/22, concernente il Fondo istituito lo scorso anno dal Governo Draghi, relativo al ristoro alle vittime dei crimini commessi in Italia dai nazisti.
Il decreto di attuazione del 28 giugno era atteso, a conclusione di un breve quanto tardivo percorso di decreti legge d’urgenza, con i quali lo Stato italiano ha stabilito, non senza criticità, le regole per permettere di ottenere un risarcimento per i crimini commessi dallo Stato tedesco durante la seconda guerra mondiale.
Prima di analizzarne il contenuto e capire come si è mosso lo Stato italiano tra politica, diritto e questioni diplomatiche, è necessario un veloce excursus sulla questione dei risarcimenti in sede civile, che nulla ha evidentemente a che fare con le vicende penali di condanna – e di mancata consegna da parte della Germania – dei molti criminali nazisti. Vicenda penale che, val la pena ricordarlo, nasce nel lontano 1960, allorché la Procura generale militare della Repubblica decise la “provvisoria archiviazione” di numerosi casi nel c.d. “Armadio della Vergogna.”
La “scoperta” del celebre “Armadio” nel 1994 – contenente centinaia di casi di crimini nazifascisti commessi in Italia – ebbe fra le sue conseguenze il riavvio dei processi, tanto che tra il 2002 e il 2013 i giudici penali militari inflissero circa 60 ergastoli a criminali nazisti, ma con la sola eccezione di Priebke e Hass, tutti gli altri sono stati processi in contumacia.
Nel frattempo, il 2 giugno 1961, veniva firmato tra la Repubblica italiana e quella federale tedesca l’Accordo di Bonn, secondo il quale la Germania versava all’Italia 40 milioni di marchi e il Governo italiano dichiarava “che sono definite tutte le rivendicazioni e richieste della Repubblica italiana, o di persone fisiche o giuridiche italiane, ancora pendenti nei confronti della Repubblica Federale di Germania o nei confronti di persone fisiche o giuridiche tedesche, purché derivanti da diritti o ragioni sorti nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945”.
In questo contesto, con riferimento ai risarcimenti civili, veniva sollevata una questione mai prima intervenuta: l’ammissibilità della chiamata in giudizio della Germania quale responsabile civile per i danni provocati con la commissione di crimini di guerra da parte di ex militari appartenenti alle forze armate di quello Stato.
Il principio viene affermato dalla Cassazione nel 2004, nel caso Ferrini, in cui si sostiene che la deportazione e l’assoggettamento dei civili ai lavori forzati nel corso di una guerra consumatasi in Italia sono crimini internazionali rispetto ai quali si deve poter esercitare la giurisdizione civile nei confronti dello Stato che li ha commessi. La Germania ricorse alla Corte Internazionale di Giustizia, che nel 2012 accolse il ricorso, per non averle l’Italia riconosciuto l’immunità dalla giurisdizione che le doveva essere attribuita in applicazione delle norme di diritto internazionale: la Repubblica italiana aveva violato l’obbligo di rispettare l’immunità riconosciuta alla Germania dal diritto internazionale.
La Germania si faceva dunque “forte” della sentenza della Corte dell’Aja, secondo cui lo Stato tedesco era immune dalla giurisdizione italiana per i crimini commessi durante la guerra. Il nostro legislatore a quel punto promulgava la legge 14.1.2013 n. 5, il cui art. 3 prevede che “quando la Corte internazionale di Giustizia, con sentenza che ha definito un procedimento di cui è stato parte lo Stato italiano, ha escluso l’assoggettamento di specifiche condotte di altro Stato alla giurisdizione civile, il giudice davanti al quale pende la controversia relativa alle stesse condotte, rileva, d’ufficio e anche quando ha già emesso sentenza non definitiva passata in giudicato che ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione, il difetto di giurisdizione in ogni stato e grado del processo”.
Ma il Tribunale di Firenze sollevò la questione di legittimità costituzionale della nuova legge e si arrivò così alla pronuncia della Corte Costituzionale del 22.10.2014 n. 238, con cui, in contrasto con la sentenza della CIG del 2012, si stabilì che la norma internazionale che prevede l’immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione civile non è applicabile nel nostro ordinamento, per gli atti consistenti in violazioni del diritto internazionale umanitario, quali i crimini di guerra e contro l’umanità. E sin dal 1945 e anche dopo la riunificazione, la Germania, anche se condannata in Italia, si è sempre rifiutata di pagare.
Questi, per sommi capi, gli antefatti di una vicenda che sembra senza fine, a
ottant’anni da quel tragico 1943.
Ebbene, arrivando ai decreti emessi lo scorso anno, si intuisce subito che il Fondo istituito dal d.l. n. 36 del 30.4.22 altro non è che un modo per lo Stato italiano di sostituirsi a quello tedesco e pagare i suoi debiti, oltre alla possibilità di introdurre – in fretta e furia – una domanda giudiziale per ottenere la condanna della Germania, mentre quest’ultima ha ottenuto che l’istituzione del Fondo la ponesse al riparo dalla prosecuzione dei procedimenti esecutivi pendenti.
In Italia, per vero, esisteva già un sistema per ottenere il risarcimento per questi crimini, derivante dalla sentenza n. 238/2014 della Consulta, che stabilisce che in caso di crimini di guerra non esiste immunità di cui possa beneficiare lo Stato estero che li ha commessi, che quindi deve pagare: a seguito di quella pronuncia sono stati avviati processi per ottenere il riconoscimento dei danni, ma la Germania si è sempre rifiutata di riconoscere la propria responsabilità, e di recente ha nuovamente citato l’Italia alla Corte Internazionale di Giustizia, per sottrarsi all’esecuzione delle sentenze italiane di condanna.
In buona sostanza, il decreto 36/22 sembra aver preferito la strada indicata dalla sentenza della CIG del 2012, che ha riconosciuto l’immunità della Germania, piuttosto che quella segnata dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2014, che invece l’ha negata, sbarrando l’ingresso nel nostro ordinamento della norma sull’immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione civile per gli atti compiuti nell’esercizio di poteri sovrani.
In base al d.l. 36/22 ha dunque diritto all’accesso al Fondo chi ha ottenuto una sentenza passata in giudicato che abbia ad oggetto l’accertamento e la liquidazione dei danni, a seguito di azioni già intraprese all’entrata in vigore del decreto, o esercitate entro trenta giorni dall’entrata in vigore. Termine, anche grazie al tempestivo intervento dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, poi ampliato, se pur di poco, in sede di conversione in legge e poi, con il decreto milleproroghe di febbraio, sino al 28 giugno scorso.
Lo stesso giorno della scadenza è stato emanato il decreto attuativo 28.6.23, sulla procedura per accedere e sulle modalità di erogazione degli importi del Fondo, ma ad una sua prima lettura emergono nuove fortissime criticità, come erano emerse alla lettura del decreto n. 36/22: per accedere al Fondo, appare evidente che gli eredi delle vittime dovranno avviare procedure amministrative complesse e non del tutto chiare.
In pochi articoli, il decreto ci viene a dire che gli interessati devono presentare istanza al Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento dell’Amministrazione generale del personale e dei servizi, utilizzando, a pena di inammissibilità, il “modello” disponibile nel sito. Spetta poi alla Direzione competente verificare il rispetto dei requisiti richiesti: gli interessati, dopo il vaglio della magistratura, debbono quindi passare ora all’esame dei requisiti da parte della predetta Direzione. Circa la determinazione dell’importo dovuto, l’art. 2 sancisce che il pagamento dei danni liquidati in sentenza viene effettuato “detratte le somme ricevute dall’avente diritto dalla Repubblica italiana a titolo di benefici o indennizzi ai sensi della legge 10 marzo 1955, n. 96, del decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1963, n. 2043, della legge 18 novembre 1980, n. 791, della legge 29 gennaio 1994, n. 94”; l’art. 3 a sua volta riconferma che gli interessati per accedere al Fondo debbono indicare “le somme ricevute o richieste dall’avente diritto, a titolo di benefici o indennizzi” e infine all’art.4 “Erogazione del ristoro”, dopo aver stabilito che la competente Direzione “provvede alle verifiche istruttorie ed all’acquisizione degli elementi disponibili” e ove non sussistano può rigettare la domanda, mentre in caso di accoglimento comunica “la determinazione dell’importo dovuto, che viene effettuata tenendo conto delle somme già percepite dalla Repubblica italiana a titolo di benefici o indennizzi”.
Sembra dunque che la preoccupazione principale del legislatore del decreto attuativo sia costituita dal dover detrarre dall’importo destinato a titolo di ristoro per i crimini nazisti – lo ripete per ben tre volte nell’arco di pochi articoli – quanto eventualmente percepito dall’avente diritto a titolo di indennizzo per le persecuzioni razziali subite in Italia, ad esempio con l’assegno di benemerenza disposto dalla legge Terracini, che riveste tutt’altra natura e nulla ha a che fare con i crimini nazisti, di cui dispone il decreto 36/22.
Ancora una volta dunque si cerca di ostacolare, quando non di vanificare, la misura risarcitoria prevista a favore delle vittime dei crimini, lasciando all’Amministrazione la potestà di creare un vero e proprio vulnus al giudicato e dando di fatto origine ad un’ineffettività permanente del Fondo.
Con l’ordinanza n. 154/22 del 1° dicembre 2022 il Tribunale di Roma ha sollevato la questione di costituzionalità dell’art. 43 del d.l. 30.4.2002, n. 36 e della legge di conversione 29.6.2022 n. 79. Tale intervento normativo, relativo ai risarcimenti per i crimini nazisti a danno della popolazione italiana, era sorto per evitare che la Germania subisse la perdita di un assetto immobiliare, in un procedimento esecutivo davanti al Tribunale di Roma. Si è poi giunti al singolare risultato per cui lo Stato italiano terrà indenne la Germania dalle pretese delle vittime italiane degli eccidi nazisti e pagherà i risarcimenti in luogo dello Stato tedesco.
Nel 2021, tuttavia, in seguito a un tentativo di pignoramento di beni di proprietà della Germania siti a Roma, il Tribunale di Roma rigetta l’opposizione agli atti esecutivi, estendendo alla fase esecutiva i principi elaborati dalla Corte Costituzionale nel 2014.
L’istituzione del Fondo non sembra costituire, quindi, una modalità di soddisfazione fungibile rispetto a quella che può essere ottenuta nel procedimento esecutivo da un qualunque creditore, mentre, di contro, è riconosciuto un diritto di mero accesso al Fondo, senza che sia prevista l’entità del futuro ristoro o le modalità di erogazione di quanto riconosciuto dal Ministero dell’economia.
Il 4 luglio in udienza pubblica si è dunque discussa la questione di costituzionalità dell’art. 43 del d.l. 36 del 2022. Il Tribunale di Roma, nel rimettere la questione di costituzionalità, ha contestato che il Fondo impedisca di continuare ad agire in via esecutiva contro i beni tedeschi. Se la Consulta darà ragione al Tribunale, le vittime dei crimini nazisti e i loro eredi, potranno decidere di rivalersi sul Fondo, o direttamente sui beni tedeschi in Italia.
Sarà dunque importante capire quale strada prenderà la Consulta e i risvolti che si avranno sul Fondo e sui risarcimenti.
Intanto sono state avviate innanzi al Tribunale di Roma le prime cause intentate da eredi di vittime dei crimini e il dato più eclatante è costituito dal fatto che l’Avvocatura dello Stato, che interviene per la Presidenza del Consiglio, sostiene che i crimini siano prescritti, mentre la “Convenzione sull’imprescrittibilità dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità” adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1968 stabilisce principi chiari di segno opposto. “È pacificamente sussumibile entro l’istituto giuridico dell’illecito civile, sia pure derivante da fatti costituenti reato, il quale – nell’ambito dell’ordinamento italiano – è compiutamente disciplinato dagli artt. 2043 e ss. cod. civ. ed in particolare, per quanto attiene alla disciplina della prescrizione, dall’art. 2947, comma 3, secondo cui “se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all’azione civile”, scrivono gli avvocati che rappresentano la Presidenza del Consiglio nei giudizi in questione.
La speranza è ora solo quella di cercare di garantire ai familiari delle vittime un riconoscimento che è morale e storico, più che economico. L’Unione delle Comunità, insieme alla società civile, non potrà che continuare a cercare di rimuovere gli ostacoli che continuano a pregiudicare l’accesso al risarcimento da parte delle vittime dei crimini del Terzo Reich, tra i più nefasti che la storia ricordi.

Giulio Disegni, vicepresidente UCEI

(Nell’immagine: la Corte costituzionale)