Tatami, una sfida al regime di Teheran
La judoka iraniana Leila e la sua allenatrice Maryam sono ai campionati mondiali di judo. L’obiettivo è portare a casa la prima medaglia d’oro per l’Iran. A metà della competizione però arriva l’ultimatum del regime: Leila deve fingere un infortunio e perdere. Se non lo farà, sarà etichettata come una traditrice. Per la judoka la scelta è tra sottostarsi al perentorio diktat di Teheran o sfidarlo, continuando a lottare per l’oro. Non è una storia vera – anche se un episodio simile è realmente accaduto – ma è la sinossi del film Tatami, che sarà proiettato al prossimo Festival del Cinema di Venezia nella categoria orizzonti. Una pellicola che ha già fatto a suo modo storia: è la prima in assoluto ad essere il frutto di una collaborazione tra registi israeliani e iraniani. A firmare il lungometraggio sono infatti Guy Nattiv e Zar Amir Ebrahimi, che insieme hanno realizzato un racconto-denuncia delle condizioni delle donne in Iran. “La storia che raccontiamo in questo film è la storia di troppi atleti iraniani che hanno perso le loro opportunità di vita, talvolta costretti a lasciare i loro paesi e i loro cari a causa del conflitto tra sistemi e governi. Che questa collaborazione artistica e cinematografica con Guy sia un tributo a loro, al di là delle frenesie dell’odio cieco e della distruzione reciproca”, il commento di Ebrahimi nel annunciare il film durante la scorsa Berlinale. Allora il titolo era il provvisorio “Untitled Judo”.
C’è almeno un precedente nelle cronache che può aver ispirato Tatami. La decisione del judoka iraniano Saeid Mollaei di ritirarsi dai Mondiali del 2019 per non dover incontrare l’israeliano Sagik Muki. Non una scelta, ma un’imposizione dall’alto, mai digerita da Mollaei. Dopo quell’episodio infatti l’atleta scelse per un cambio radicale. Fuggì dall’Iran, ricostruendosi una carriera e una vita con un’altra nazionale (Mongolia) e allo stesso tempo sigillando un amicizia con l’israeliano Muki. Tanto da dedicare anche a lui la vittoria della medaglia d’argento agli ultimi Giochi Olimpici di Tokyo.
Anche la regista Ebrahimi è stata costretta a fuggire dall’Iran e dal 2008 ha trovato rifugio in Francia, dove lavora anche Nattiv. “È stata una collaborazione straordinaria e lei ha portato le sue prospettive personali”, ha spiegato il regista israeliano parlando della collega. “Il film è una vera opportunità per dare una piattaforma alle voci delle donne iraniane che combattono quotidianamente contro il regime oppressivo del loro Paese”.
Nella scrittura del film ha avuto un ruolo da protagonista anche un’altra donna di origine iraniana, Elham Erfani. Attrice e sceneggiatrice, Erfani ha ricordato come in Iran “molte di noi sono state costrette a lasciare le loro case e i loro cari in cerca di libertà e pace. Nonostante la distanza, questo film ci ricorda che l’unità e la resistenza hanno un potere. Sono grata di avere l’opportunità di essere una voce per le atlete iraniane oppresse e di portare le loro storie al mondo attraverso questo film”.
Il film è stato prodotto grazie al fondo di sviluppo di Keshet International di Los Angeles e White Lodge, in collaborazione con New Native. La distribuzione è affidata a West End Films.
(Immagine West End Films)