Il Santuario a Gerusalemme
Nella parashà Ithro vengono date le norme per la costruzione dell’Altare (Mitzbeach). Ne notiamo una, in particolare, che lo caratterizza. Si vieta di costruire l’Altare con pietre sagomate con uno scalpello, perché, chiarisce la Torah, “impiegando la lama su di esse profaneresti l’Altare”. La Torah non spiega il meccanismo o la motivazione di questa profanazione, ma l’interpretazione dei Maestri è che lo scalpello, essendo fabbricato con lo stesso materiale con cui si fanno le armi (strumento di morte), profanerebbe la sacralità dell’Altare (simbolo di vita). La conseguenza di questo divieto è stato l’impiego diffuso ed esteso del legno, cui è più facile dare una forma rispettando la norma.
L’utilizzo del legno ha avuto, però, una conseguenza sgradevole per i posteri: si tratta di un materiale deperibile e per di più incendiabile e, a causa delle sconfitte militari di Israele, ogni vestigia, sia del Santuario che dell’Altare (Mitzbeach), scomparve nel fuoco appiccato dai nemici. Mentre ad Atene i residui del Partenone e a Roma il Colosseo e i Fori, edificati in pietra sagomata con scalpelli metallici, anche se danneggiati, sono ancor oggi concreti e riconoscibili, a Gerusalemme, del Santuario e dell’Altare è rimasta soltanto la memoria. Tuttavia, ripensandoci, non saprei dire se la perdita della fisicità di questi elementi e il fatto che ne venga tramandata soltanto il ricordo non abbia finito per rendere la loro essenza più…spirituale. Non c’è una colonna o un arco che possa divenire oggetto di adorazione, ma soltanto la Parola del Signore. Anche il Kotel Hamaravi (il “Muro occidentale”) altro non è che il muro di contenimento della collina sulla quale è stato eretto il Santuario, ma non è il Santuario. Questo insieme di prescrizioni e di fatti ha avuto la conseguenza di rendere il Santuario un “concetto” ristretto al puro spirito, senza il rischio di trasformare una concreta e materiale “reliquia” in un oggetto di deviante adorazione.
Roberto Jona