Il mondo di Eva Fischer,
l’arte come emozione

A otto anni dalla morte, l’eredità artistica di Eva Fischer (1920-2015) continua a vivere in vari progetti e iniziative. L’ultima è un bel libro a cura del figlio, Alan David Baumann, le cui pagine vanno a restituirci con gusto anni di impegno in ambito grafico. Specialmente negli Anni Sessanta e Sessanta, un periodo nel quale l’artista (jugoslava di nascita, ma italiana d’adozione) si distinse per una serie di acqueforti, acquetinte, incisioni e litografie. Molte delle quali a tema ebraico, un filone spesso ricorrente nei suoi lavori. Tra gli altri temi caratterizzanti, evidenziati dal figlio, biciclette, paesaggi e architetture mediterranee.
Edito dalla A&A edizioni – WL TV, il volume esalta l’arte pittorica di una straordinaria interprete del Novecento, ultima testimone della Scuola Romana del Dopoguerra e animatrice di un salotto intellettuale tra i più significativi d’Italia. Basata su un precedente libro-catalogo degli anni ’70, la nuova edizione ripropone alcuni testi originali di Carlo Levi, Alfonso Gatto, Miriam Novitch e Guglielmo Petroni, oltre ad alcuni pensieri pervenuti da estimatori e amici: da Picasso a Edith Bruck. Secondo la scrittrice e poetessa, sopravvissuta in gioventù alla Shoah, si potrebbe a ragione esclamare che “il mondo è salvato dai suoi colori”.
Non è arte d’altronde, sosteneva Fischer, “se non crea emozioni”.
Nata a Daruvar nel 1920, Fischer si diplomò a soli 19 anni all’Accademia di Belle Arti di Lione. Rientrata a Belgrado, fu costretta a fuggire dopo la deportazione per mano nazista del padre Leopold, rabbino ed eccelso talmudista. Assieme alla madre e al fratello più piccolo si consegnò ai fascisti, venendo rinchiusa in un campo nell’isola di Curzola. Da qui riuscì a ottenere un permesso per portare la madre malata a Bologna e, giunta a destinazione, unirsi alla Resistenza. A guerra finita la scelta di Roma quale città d’adozione. Ma la sua, scrive Alan David, fu comunque una vita segnata da brevi migrazioni, ovunque il suo estro l’abbia chiamata ad agire: Parigi, Madrid, Gerusalemme, Londra. Accogliendo un suggerimento del suo amico Chagall, fu proprio Fischer a realizzare le vetrate per il Museo ebraico di Roma. Nell’occasione realizzò anche una litografia, intitolata Talled, in memoria del padre trucidato dalle SS.