SPORT – Il dissidente iraniano:
nei nostri stadi niente cori per Hamas

“Palestina libera, Palestina rossa”, hanno intonato alcuni tifosi del Livorno nell’ultima partita casalinga della loro squadra del cuore. “Free Palestine”, hanno cantato altre tifoserie d’Europa. Anche nella curva del Persepolis di Teheran, una delle società più titolate d’Asia, è sventolata la bandiera palestinese. Ma quel gesto da parte di un sostenitore che puntava a raccogliere attorno a sé altri consensi, all’indomani della strage di civili israeliani compiuta da Hamas, non ha sortito gli effetti sperati. Invece degli applausi, sono arrivati i fischi. A migliaia. Un atto di opposizione al regime, primo sponsor del terrore, che ha fatto il giro del mondo.
“Sono scene molto significative, ma che non mi hanno sorpreso: il regime è avversato da un numero ingente di persone”, spiega a Pagine Ebraiche il giornalista e attivista italo-iraniano Ahmad Rafat, storico volto della dissidenza anti-ayatollah. “Gli si contestano non solo i diritti negati sul fronte interno, ma anche anche le ambizioni regionali di cui questo recente attacco è stata espressione, stigmatizzate al grido ‘Né per Gaza, né per il Libano, la mia vita è solo per l’Iran’. Una formula che, non citando Israele, permette loro di evitare l’accusa di fiancheggiamento e vicinanza allo Stato ebraico. Sarebbe d’altronde difficile arrestare migliaia di persone tutte insieme, all’uscita di uno stadio”. Rafat, che vive da tempo a Londra, conosce bene il prezzo di quelle accuse. E la necessità di tenere la guardia sempre alta. “Sui giornali più radicali di Teheran e dintorni sono stato più volte etichettato come un ‘agente del Mossad’. Appena pochi giorni fa è arrivato un nuovo ‘alert’ a tutti noi attivisti impegnati a Londra, giornalisti inclusi. I cosiddetti proxies di Teheran potrebbero infatti colpire non solo in Medio Oriente, ma anche in tutti quei paesi dove si esprime dissenso. L’Inghilterra è uno di questi”.
A Londra, racconta Rafat, gli attivisti iraniani stanno affrontando giornate di grande impegno. “Il numero di iraniani che ha partecipato a iniziative contro Hamas è stato e resta importante. La solidarietà verso Israele è stata immediata”, sottolinea il dissidente. Lo stesso sentimento, aggiunge, “c’è stato in Iran a livello di opposizione e tra tanti cittadini ‘normali’; questo almeno nei primi giorni dopo l’azione terroristica di Hamas”. La situazione, prosegue, sarebbe ora “un po’ cambiata con il contrattacco d’Israele: ora come ora ci sono, tra gli oppositori del regime, due linee di pensiero: chi condanna sia Hamas che Israele, chi continua a condannare solo Hamas senza esprimersi sul resto”.
Costretta al silenzio invece la comunità ebraica iraniana, da tempo tenuta in una condizione di pressione e ricatto da parte delle autorità. “In questi giorni non c’è stata nessuna reazione, una cautela per evitare l’accusa di essere delle spie al servizio d’Israele. È una situazione difficile e angosciante, non vorrei essere al loro posto”.