Palazzo Pitti – Anche un libro della famiglia di rav Piperno in mostra
Istituito nel 1570, il ghetto di Firenze sorgeva in pieno centro, dove è oggi piazza della Repubblica. Un luogo di segregazione. Ma anche il fulcro di un microcosmo umano, culturale e spirituale tutto da scoprire: ne svela alcune sfaccettature inedite la mostra “Gli ebrei, i Medici e il Ghetto di Firenze” inaugurata a Palazzo Pitti a cura di Piergabriele Mancuso, Alice S. Legé e Sefy Hendler: un percorso in cinque sezioni ricco di testimonianze, documenti e opere d’arte, con l’obiettivo di indagare l’intreccio fra vicenda medicea ed ebraica, tra gli alti e bassi della Storia. Il percorso si apre nella Firenze di Cosimo il Vecchio e del suo celebre nipote, il “Magnifico” Lorenzo, nell’atmosfera di relativa apertura del primo Rinascimento. Molto diverso invece lo spirito della Controriforma in cui fermentò il ghetto. L’inizio di anni sofferti e difficili per gli ebrei fiorentini, separati ora dal resto della società. Tratteggiando, per esempio, la vita straordinaria del gioielliere Moisé Vita Cafsuto e del pittore Jona Ostiglio. Entrambi di casa nella corte medicea in un periodo in cui, nel resto d’Italia, le porte erano spesso chiuse agli ebrei. Suggestivo, al termine del percorso, un modello tridimensionale del ghetto frutto di un decennio di ricerche condotte dallo Eugene Grant Jewish History Program del Medici Archive Project. La restituzione fisica di “un blocco, un grande condominio”, come spiegato dal curatore Mancuso a Pagine Ebraiche.
“In un momento storico con nuove ondate di odio razziale contro gli ebrei, è importante rendere il grande pubblico partecipe delle sofferenze degli ebrei nella nostra città durante i tre secoli di esistenza del ghetto. Ma è ancor più fondamentale rendere noto il contributo ebraico alla cultura fiorentina e italiana, nonostante tutte le difficoltà“, ha detto il padrone di casa, il direttore degli Uffizi Eike Schmidt, con alle spalle la bandiera italiana, quella israeliana e quella europea. “Una straordinaria occasione di conoscenza, una mostra eccellente”, ha poi dichiarato il presidente della Fondazione Beni Culturali Ebraici in Italia, Dario Disegni. Una iniziativa nello spirito della Fondazione, ha poi aggiunto, con il suo obiettivo di “fare memoria diffusa e radicata della presenza ebraica sul territorio, che dura da oltre 2.200 anni”. Studiare la storia del complesso rapporto tra l’Italia e la sua minoranza ebraica “ha un grande valore anche in un momento come questo, in giornate di grande difficoltà, quando l’odio antisemita è da alcuni gridato e urlato, esposto come un vessillo”, ha affermato il presidente della Comunità ebraica fiorentina Enrico Fink. La Firenze ebraica è una piccola realtà le cui radici “affondano nel passato e in quel che questa mostra ci offre”, ha osservato il rabbino capo Gadi Piperno. La mostra è arricchita anche da una sua testimonianza famigliare: un libro di preghiera (siddur) del 1735 lasciatogli in eredità dalla nonna, che si apre con un’introduzione di Gian Gastone, l’ultimo granduca dei Medici.