GUERRA – Rapiti: l’impegno
e le lacrime degli ebrei romani

Ilan Regev entra nel Tempio Maggiore di Roma con un cartello: raffigura i suoi figli Maya e Itay, sequestrati a Gaza dai terroristi. Dietro di lui Adar Eylon, la cui sorella Shira è stata assassinata al rave party. Seguono, stretti in molteplici abbracci, gli altri familiari di ostaggi o vittime di Hamas. Sono venuti in Italia, in delegazione, per incontrare le più alte cariche istituzionali del paese e invitare a ogni azione possibile per ottenere il tempestivo rientro dei loro cari. Un invito raccolto dal Quirinale e da Palazzo Chigi, dal Senato e dalla Camera dei deputati.
La sinagoga era gremita in ogni ordine di posto per accoglierli e l’inno d’Israele è risuonato al termine di una cerimonia emotivamente molto partecipata. “Questa sinagoga piena è una testimonianza del fatto che siamo tutti insieme”, afferma l’ambasciatore dello Stato ebraico Alon Bar, assicurando il massimo impegno affinché le immagini degli israeliani rapiti “circolino ovunque in Italia, fin quando i rapiti torneranno indietro”. Il 7 ottobre scorso “è avvenuto un pogrom, come quelli che quando ero bambino ci raccontavano i nostri anziani sulla Libia del ’45, del ’48 e del ’67”, dichiara il presidente della Comunità ebraica romana Victor Fadlun. “Non lasceremo nessuno solo”, afferma il presidente di quella milanese Walker Meghnagi. A portare “l’abbraccio di tutte e 21 le Comunità” dell’ebraismo italiano la presidente Ucei Noemi Di Segni. A fine cerimonia, aperta da un intervento del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, i racconti e gli appelli di Ilan e Adar.
Il padre di Maya e Itay, dopo aver fatto sentire l’audio dell’ultima telefonata della figlia, con i terroristi che le sparano contro, si emoziona: “Le lacrime scendono come pioggia, ma danno anche vigore: insieme siamo più forti”. All’esterno del Tempio oltre duecento palloncini rossi, come gli oltre duecento ostaggi nelle mani di Hamas. I loro nomi, i loro volti, su altrettanti manifesti.