Diciannove giorni dopo l’attacco,
Netanyahu ci mette la faccia

Ieri sera il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha fatto un breve discorso alla nazione nel quale ha confermato che l’operazione via terra nella Striscia di Gaza ci sarà. Tempi e modi sono ancora da definire. L’obiettivo è liberare gli ostaggi nelle mani di Hamas ed eliminare il gruppo terroristico palestinese. Secondo fonti del Wall Street Journal, la missione via terra è stata ritardata per permettere agli Usa di posizionare sistemi di difesa aerei aggiuntivi in Medio Oriente e proteggere così sia le forze americane nell’area sia Israele, riportano Repubblica e Giornale. “Lo scudo americano pronto all’azione”, titola il Corriere della Sera, spiegando che la minaccia arriva dalle diverse milizie finanziante dall’Iran. Sempre sul Corriere si torna sul discorso di Netanyahu, sottolineando come, a diciannove giorni dall’attacco di Hamas, il premier ha pronunciato “per la prima volta le parole che si avvicinano a un riconoscimento di responsabilità: ‘Anch’io dovrò dare risposte, ma questo non è il momento’”.

Il doppio gioco del sultano
A generare polemiche e preoccupazione, le parole del presidente turco Recep Erdogan che al suo parlamento ha dichiarato: “Hamas non è un organizzazione terroristica” e i suoi miliziani sarebbero “patrioti che combattono per la loro terra. “Erdogan sta con Hamas” titolano in prima pagina Repubblica e Stampa a riguardo. Erdogan da tempo ospita in Turchia i vertici di Hamas. Media israeliani parlavano di una sua decisione di espellerli dopo i massacri del 7 ottobre. Notizia poi smentita, come dimostrano anche le parole di ieri. Secondo Repubblica questa retorica è dovuta alla scelta degli Stati Uniti di affidare ad Egitto e Qatar la mediazione nel conflitto in corso, escludendo Erdogan. “Più gli verrà negato un posto centrale nella crisi più c’è da aspettarsi che inasprirà la sua retorica anche in funzione del consenso interno, per porsi come leader attento alla questione palestinese”, afferma al quotidiano Soner Cagaptay , direttore del programma Turchia del Washington Institute. “Ma questo non succederà a spese dei rapporti con Israele che rientrano in una più ampia svolta politica della Turchia nelle relazioni con il Golfo”. Un doppio gioco, quello turco, simile a quello del Qatar, scrive La Stampa. Doha, spiega il quotidiano, “è un alleato degli Usa, ma ha anche solidi rapporti con Hamas, costruiti con decenni di finanziamenti”.

Gli amici di Hamas, nemici di Mahmoud Abbas
Intanto, presidenza Usa starebbe facendo pressione sui diversi alleati del Golfo affinché chiudano i rubinetti di organizzazioni locali che stanno raccogliendo fondi per i terroristi di Gaza, riporta il Foglio. Al Qatar, il segretario di Stato Usa Antony Blinken ha anche chiesto di far abbassare i toni alla sua emittente Al Jazeera, “piena di incitamento anti-israeliano”. Sul versante opposto, spiega il Corriere della Sera, i sovrani del Golfo “temono l’escalation e chiedono un piano per il dopoguerra tra Israele e Hamas, che per il momento non c’è“. Il problema, si legge nelle stesse pagine, è che l’Iran soffia sul fuoco, sostenendo i diversi gruppi terroristici dell’area. Emblematica la fotografia scattata a inizio settimana a Beirut, di cui parla La Stampa: si vedono Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, Saleh AlArouri, vicecapo di Hamas, e Ziad Al-Nakhalah, il leader della Jihad islamica, con alle pareti le icone delle Guide supreme iraniane. “Il salotto del terrore”, sintetizza il Corriere. Preoccupa anche la situazione in Cisgiordania: qui molti palestinesi, scrive Repubblica, tifano per Hamas. Un sostegno, afferma il quotidiano, che potrebbe trasformarsi in guerra civile contro la leadership dell’Autorità nazionale palestinese del presidente Mahmoud Abbas. Da Ramallah scrive il direttore di Repubblica Maurizio Molinari, che dialoga con Uri Davis, vecchio amico di Yasser Arafat e ora consigliere di Abbas. “Né con lo Stato ebraico né con Hamas”, questa la posizione di Davis.A Gaza carburante solo per i missili
Nel frattempo Hamas continua a sparare razzi contro Israele. Ieri ha puntato anche verso Eilat, sul Mar Rosso, senza provocare danni. Ma, dicono da Gerusalemme, gli attacchi missilistici sono la dimostrazione che a Gaza il carburante c’è: è tolto alle famiglie per essere usato per alimentare la guerra. Per questo, scrive il Corriere, Israele si oppone all’ingresso di nuovi rifornimenti. Nella Striscia la situazione è grave. “Se nelle prossime ore non dovesse arrivare a Gaza un po’ di carburante, la quasi totalità degli ospedali potrebbe chiudere o limitare al massimo le proprie attività“. Le strutture sanitarie, da inizio conflitto, sono sovraffollate e rischiano il collasso.

Il dolore di chi è rimasto
“Non staremo in silenzio quando i cannoni ruggiscono, e non dimenticheremo che papà amava la pace. Non scrivete il nome di mio padre su una bomba”. Sono le parole di Yotam Kipnis pronunciate per l’elegia del padre Eviatar Moshe Kipnis, l’italo-israeliano ucciso il 7 ottobre insieme alla moglie Lilach Lea Hawon e a Paul Vincent Castelvi, l’assistente filippino che viveva con loro a Be’eri. Duro il suo intervento ripreso da Repubblica. “Papà è stato ucciso e abbandonato da persone che non riuscivano a capirlo. Razzisti che odiano chi è diverso, estremisti che santificano morte e vendetta anziché la vita”. Il medico Sergio Harari sul Corriere della Sera racconta di un suo amico, Davide, che dal 7 ottobre si reca a fare visita alle famiglie israeliane che hanno perso qualcuno a causa di Hamas. “Quando suoni alla porta è difficile”.

L’importanza della solidarietà: parlano due ambasciatori
Intervistato da Libero, l’ex ambasciatore d’Israele in Italia Dror Eydar avverte che “l’orrore dei kibbutz arriverà in Occidente se non ci aiuterete”. “Non abbiamo alcun desiderio di controllare le vite degli abitanti della Striscia. Dalla Santa Sede atti significativi, ma vorremmo più empatia nei nostri confronti”. Lo sottolinea l’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede Rapahel Schutz al settimanale Famiglia Cristiana. Sulla mancanza di empatia da parte dei vertici della Chiesa, Schutz spiega: “Quando si dice che il diritto umanitario deve essere rispettato specialmente a Gaza, mi chiedo perché non dovrebbe essere rispettato anche in Israele, nel momento in cui una larga parte della popolazione israeliana si trova sotto il fuoco nemico, e molti sono stati costretti a lasciare le loro case. Il diritto umanitario va rispettato dovunque. Si parla di Gaza, ma vorrei sentire il nome di Sderot, dei villaggi, dei kibbutzim e delle piccole comunità decimate dall’attacco di Hamas”. Sul tema della solidarietà assente, Repubblica, Foglio e Stampa denunciano quella di una parte dell’opinione pubblica, in particolare a sinistra, che non ha condannato in modo fermo i massacri di Hamas o chiesto la liberazione degli ostaggi.

Roma ebraica si stringe alla famiglia delle vittime
Per i rapiti si sta invece mobilitando il mondo ebraico. Repubblica Roma racconta l’iniziativa della Comunità locale di esporre duecento palloncini rossi per ricordare il destino degli ostaggi. Nella capitale sono arrivate alcune famiglie delle vittime e dei rapiti, accolti al Tempio Maggiore da un lungo applauso, scrive il quotidiano. “Chiediamo la liberazione degli ostaggi e che la nostra voce arrivi attraverso i media di tutto il mondo per far pressione ad Hamas”, l’appello di Chen Eshets, cugino di Evyatar, trascinato dai terroristi a Gaza mentre partecipava al rave nel Negev.

Firenze, nuovo Sefer Torah
Sulle pagine di Repubblica Firenze si racconta dell’ingresso di un nuovo Sefer Torah nella Comunità Chabad della città.