GUERRA – La sfida
della disabilità sotto i missili

“Avere un figlio con disabilità è una sfida in circostanze normali. In tempi di crisi come adesso è inimmaginabile”. Alessandro Viterbo lo racconta a Pagine Ebraiche da Gerusalemme. Alessandro è una delle colonne dell’organizzazione Tsad Kadima (Un passo avanti), che si occupa di dare assistenza a bimbi e ragazzi cerebrolesi con un metodo educativo incentrato proprio sulla personalità del bambino: sono oltre 400 i giovani assistiti in tutto Israele, da Or Akiva a Eilat, da Rishon LeZion a Beer Sheva.
Dal 7 ottobre scorso, Tsad Kadima ha dovuto sospendere vari servizi né, considerata la situazione, è chiaro quando potranno ripartire. “I più penalizzati sono i più piccoli: sono all’inizio di un percorso e avrebbero bisogno urgente di fisioterapia e idroterapia. Ma ad oggi, con gli allarmi che risuonano in modo costante nei cieli d’Israele, ci sono troppi rischi per attività esterne come quelle in piscina. Il tempo per arrivare in un rifugio non sarebbe sufficiente”, spiega Viterbo. Nella capitale, il centro Tsad Kadima è stato chiuso perché nel rifugio, in caso di emergenza, non ci sarebbe abbastanza spazio per tutti, assistiti e personale (è comunque possibile che riapra mercoledì in un’altra struttura più attrezzata). Ad Eilat invece, vista la minore esposizione al fuoco di Hamas, “tutto funziona in modo più o meno regolare e nei giorni scorsi sono stati accolti dei ragazzi provenienti dalle città e dai kibbutz evacuati”. La situazione è comunque in divenire: “Le cose cambiano ogni giorno, con sempre nuove indicazioni da accogliere”. Dove Tsad Kadima ha dovuto sospendere la propria offerta, la sfida è stata quella di sopperire con attività alternative a distanza, anche via Zoom. Lo staff è comunque impegnato “con visite a domicilio, almeno una volta alla settimana”. Tra gli assistiti c’è anche Yoel Viterbo, il figlio di Alessandro. Dice il padre: “È sempre stato abituato a vivere in società: ci sono quindi alcune cose che gli mancano, anche se affronta tutto con relativa calma. Gestisce bene le sue emozioni e vuole essere aggiornato in modo costante. Segue ad esempio in televisione suo cugino, che è un giornalista per il canale 12. Sette miei nipoti sono ora arruolati e in prima linea”. La comunità di Tsad Kadima ha pianto da poco il barbaro assassinio di un bambino di cinque anni, il piccolo Eitan, che frequentava il centro di Beer Sheva costruito grazie anche a donazioni italiane. Lui, sua sorella e i suoi genitori sono stati uccisi dai terroristi mentre tornavano a casa da un picnic nel Negev.