RUSSIA – Grinberg: Mosca sempre più vicina a Teheran, Putin sempre più debole

L’incontro con Hamas, il pogrom in Daghestan, il riemergere sulle televisioni russe della retorica antisemita. Eventi non direttamente connessi tra loro, ma che insieme dimostrano “la debolezza di Vladimir Putin”. Lo spiega a Pagine Ebraiche Alexander Grinberg, analista del Jerusalem Institute for Strategy and Security. Nato a Mosca e dal 1991 in Israele, Grinberg mette in ordine gli ultimi avvenimenti legati alla Russia.
In primo luogo, l’incontro organizzato all’ombra del Cremlino con una delegazione di Hamas e un rappresentante iraniano. Un vertice avvenuto all’indomani dei massacri del 7 ottobre compiuti dai terroristi palestinesi nel sud d’Israele. Massacri mai condannati da Putin, che anzi ha accusato gli Stati Uniti per il riaccendersi del conflitto in Medio Oriente. “Israele ha protestato per la posizione di Mosca, convocando l’ambasciatore russo nel paese. – evidenzia Grinberg – Ma non bisogna stupirsi di questo dialogo russo con le fazioni palestinesi. È un canale aperto sin dai tempi dell’Unione Sovietica”. Oggi, aggiunge, l’obiettivo di Putin è sfruttare la crisi internazionale. “Nel solco della politica russa, da sempre reattiva e non creativa, Putin ha visto un’occasione nel conflitto tra Israele e Hamas. Vuole mostrare di avere un peso a livello internazionale, presentandosi come possibile mediatore e incontrando i terroristi palestinesi e l’Iran”. Una esibizione di potere, priva di una reale efficacia sul terreno. “Irritante, ma senza effetti”.
Nell’incontro a Mosca l’elemento più importante, rileva l’esperto, è un altro. “È la presenza dell’emissario iraniano, Ali Bagheri Kani. È l’ennesima dimostrazione di quanto sia profondo il coinvolgimento del regime di Teheran nelle azioni di Hamas. L’Iran muove da lontano le sue pedine, facendo una guerra per procura a Israele attraverso i terroristi palestinesi, Hezbollah in Libano, gli Huthi in Yemen”. Per Grinberg l’unica soluzione per arginare l’Iran è colpirlo. “Teheran usa le milizie arabe nel mondo e le considera assolutamente sacrificabili. Non così la sua sicurezza interna. Se il regime dovesse sentirsi realmente in pericolo, allora cambierà atteggiamento”.
La stessa filosofia, aggiunge, è da applicare a un’area in cui gli interessi di Teheran e Mosca si intrecciano: la Siria. Lì il contingente russo è limitato. Putin ha raggiunto il suo obiettivo di mantenere il dittatore Bashar al-Assad al potere e ora è impegnato sul fronte ucraino. Anche l’Iran appoggia Assad, in più usa la Siria come canale per rifornire ai terroristi libanesi e palestinesi. “Non lo fa nelle aree sotto controllo russo, ma se dovesse accadere, Israele deve intervenire e colpire”, afferma Grinberg. “Non si può permettere che si varchi questa linea rossa, anche se vorrà dire uno scontro con la Russia”.
L’antisemitismo russo, osserva poi l’analista, è sempre presente. “C’era durante lo zar, durante l’Unione Sovietica e c’è anche oggi. E però non si può dire che Putin sia un antisemita. È vero che sui media nazionali la retorica antiebraica è aumentata, ma non per indicazione del presidente: anzi è la dimostrazione di una sua debolezza”. Secondo Grinberg l’odio antisemita è usato da alcuni politici russi come arma per attaccare e screditare gli avversari e per guadagnare terreno nell’opinione pubblica. È una retorica che destabilizza e non rafforza il potere centrale, rileva Grinberg. “Con un Putin forte tutto questo non potrebbe accadere”. Così come non sarebbe accaduto il pogrom in Daghestan. “Parliamo di una zona periferica, arretrata, dove proliferano i radicalisti islamici, e dove la barbarie antisemita si trasforma in violenza. Tra l’altro pure ignorante perché sul volo attaccato non c’erano ebrei, ma musulmani curati in Israele”. Detto questo, il pogrom, prosegue Grinberg, “è figlio dell’assenza dello Stato. È, ancora una volta, la dimostrazione evidente del fallimento di Putin, che non è un dittatore totalitario alla Stalin, ma un capo mafioso sempre più indebolito”.