MILANO – Parlano i testimoni oculari dei massacri di Hamas
Sinagoga piena in solidarietà con Israele

Un lungo striscione con le foto degli oltre duecento ostaggi posizionato davanti alla sinagoga. I passeggini in fila a ricordare volti e storie degli oltre trenta bambini rapiti. All’interno del tempio di via Guastalla, l’attesa per vedere la risposta della cittadinanza all’appello di solidarietà e vicinanza a Israele. Alla richiesta di commemorare insieme le oltre 1400 vittime del massacro compiuto un mese fa da Hamas. La risposta è arrivata: la sinagoga centrale di Milano ieri sera era gremita da centinaia di persone di fedi diverse, riunite per esprimere solidarietà allo stato ebraico. “Vi ringraziamo per essere qui così numerosi”, hanno affermato i rappresentanti della Comunità ebraica milanese. Il minuto di silenzio per le vittime si è avvicendato al lungo e simbolico applauso per salutare l’arrivo della senatrice a vita e sopravvissuta alla Shoah, Liliana Segre.
Poi è stato il turno degli interventi e delle testimonianze. A parlare tra gli altri i due amici Amit Arusi e Shlomi Shushan, ventenni di Petach Tikva, non lontano da Tel Aviv. Raccontano come sono sopravvissuti all’eccidio del festival di Re’im nel Negev. “Era iniziata come la più bella festa a cui io abbia mai partecipato”, racconta a Pagine Ebraiche Shlomi. “Si è trasformato in un incubo infinito di feriti e cadaveri. Una corsa in cui vedevi attorno tutta quella sofferenza, ma non potevi permetterti di fermarti e aiutare”. Il caso, spiegano, ha fatto sì che si salvassero. La preghiera dello Shemà ha scandito la loro fuga e ancora ora la fede per entrambi rappresenta un luogo sicuro. Il trauma è presente nel quotidiano e non li abbandona anche a migliaia di chilometri. “L’allarme delle porte che si chiudono suona alle nostre orecchie come un’allarme antimissile”. E risveglia la paura del fischio dei proiettili dei terroristi e della terra scossa dall’impatto dei razzi. “Sentivamo tutto tremare. Il cuore si fermava a ogni esplosione. Volevi buttarti a terra per ripararti, ma i terroristi sparavano e non sapevi da dove”. Nella strage di Re’im – oltre 270 persone uccise, soprattutto giovani – Amit ha perso il suo migliore amico. “Prima che tutto iniziasse gli avevo detto di aspettarmi un minuto. Solo un minuto. Non l’ho più rivisto”. Il suo nome era Eitan Snir. La Comunità di Milano lo ha ricordato in sinagoga, così come tutte le vittime del massacro del 7 ottobre. E assieme alla cittadinanza, si è unita alla richiesta di liberare subito gli ostaggi ancora in mano a Hamas.
“Siamo sconvolti e non so come questo inciderà sulla vita di tutti noi, niente più sarà come prima”, afferma il rabbino capo di Milano, rav Alfonso Arbib. Niente è più come prima per la milanese Giulia Temin. Il kibbutz Holit era diventato parte della sua identità quattordici anni fa. “Mi sono innamorata subito di quei luoghi. Lì ho conosciuto mio marito; lì vive la sua famiglia”, racconta a Pagine Ebraiche in attesa di intervenire in sinagoga. Il 7 ottobre ha seguito la tragica cronaca degli eventi attraverso il gruppo whatsapp del kibbutz. “Io e mio marito eravamo in contatto costante con mia suocera. Ogni 5 minuti chiedevamo se fosse viva. Nel mentre leggevamo di spari contro abitazioni, di terroristi entrati nelle case, di richieste di aiuto e domande su dove fosse l’esercito”. Su un’ottantina di membri, tredici sono stati assassinati. “Tra loro, Adi Vital-Kaploun, 33 anni, uccisa davanti ai figli di 4 anni e 4 mesi. Una bambina di 7 anni è rimasta orfana mentre i genitori venivano ammazzati. Mia suocera è uscita di casa scalza e con un coltello in mano per aiutare una vicina svenuta. L’ha salvata dalla sua casa data alle fiamme”. La voce di Temin trema mentre elenca le perdite di una comunità distrutta. “I sopravvissuti sono stati sfollati sul Mar Morto. Sono insieme ed è importante”. Alcuni pensano a ricostruire, altri non sanno se torneranno in quello che consideravano il loro paradiso. “Sono state avviate raccolte fondi e altre iniziative per il kibbutz Holit e noi ora siamo impegnati in questo”.
È il momento della solidarietà, sottolinea alle centinaia di presenti il vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Milo Hasbani. “Le comunità ebraiche italiane si sono mobilitate per il rilascio degli ostaggi. Ma siamo in pochi: oggi però grazie voi mi sento più forte”. Il presidente della Comunità ebraica di Milano, Walker Meghnagi, silenzia qualche protesta contro il sindaco Beppe Sala dopo alcune polemiche sulla vicinanza a Israele. “Siamo italiani e milanesi e rispettiamo il sindaco della nostra città“, chiarisce Meghnagi. Al Comune chiede però di intervenire e condannare le recenti manifestazioni filopalestinesi, in cui sono risuonati cori antisemiti e contro Israele.