MILANO – “Ucraina”, le foto di Rosselli al Memoriale della Shoah
Le vite e i paesaggi sono “offesi dalla guerra” ma il desiderio e la necessità di andare avanti sopravvivono. Negli scatti del fotografo Stefano Rosselli c’è il ritratto dell’Ucraina di oggi: sconvolta dall’aggressione russa, ma allo stesso tempo impegnata a vivere. “La voglia di normalità porta l’uomo a cercare, anche dove sembra impossibile, momenti di serenità, perché fortunatamente la vita prevale sempre sulla morte”, ha spiegato Rosselli. Nell’ultimo anno e mezzo il fotografo ha passato quasi cento giorni nel paese straziato dalla guerra, immortalandone la contraddittoria normalità. Da quelle immagini è nata la mostra “Ucraina”, curata da Maria Vittoria Baravelli e inaugurata al Memoriale della Shoah di Milano. Un luogo, spiega il presidente del Memoriale Roberto Jarach, “di elaborazione del passato, ma anche laboratorio del presente”. Da qui la scelta di guardare all’Ucraina. “Cosa succede in uno scenario di guerra?“, l’interrogativo alla base della mostra che, afferma Jarach, “ci porta in un territorio diventato tristemente teatro di scontri e di dolori, e ci spinge a interrogarci su questi temi”.
Nelle fotografie, il volto teso e determinato di soldati e soldatesse ucraini diretti al fronte, una fossa da riempire nel cimitero di Bucha, un centro commerciale a Kiev trasformato in macerie dai missili russi. Ma negli scatti di Rosselli ci sono anche i sorrisi di giovani amici mentre passano una giornata estiva a fare il bagno sul nel fiume Bug, o il gesto naturale di una madre senza nome intenta a pettinare il figlio. “Ci si presenta spettinati a un incontro? No, soprattutto se l’incontro è con un sogno, con una speranza o con il futuro”, sottolinea la curatrice Baravelli.
La mostra “Ucraina” è una trasposizione dell’omonimo volume edito da Feltrinelli e rimarrà aperta fino al 7 gennaio. Ad accompagnare il pubblico nel percorso espositivo, le musiche di Ferdinando Arnò e i testi di Massimo Recalcati. “Un missile inesploso conficcato in un campo mentre sullo sfondo un uomo con una falce sembra andare al lavoro. La guerra – spiega Recalcati – non annulla del tutto il ritmo ordinario della vita: sopravvivere è infatti il mestiere più proprio dell’umano”.