LA RIFLESSIONE – Rav Arbib:
Non c’è pace senza difesa

Provo a mettere giù una riflessione su alcuni concetti che vengono ripetuti in questi giorni.
Cominciamo da quello più alto, la pace.
Si tratta di un concetto fondamentale: la nostra tefillà per eccellenza, la Amidà, si conclude affermando che H. benedice il Suo popolo con la pace.
I Chakhamìm dicono che senza pace non c’è nulla, che tutte le benedizioni spariscono se non sono accompagnate dalla pace.
Ma, come tutto, anche il concetto di pace si può prestare a equivoci e ha comunque dei limiti. Cominciamo dagli equivoci. La parola shalòm deriva dalla radice shalèm che indica integrità, completezza. Questa completezza può essere intesa in due modi.
1. Io sono integro, completo, perfetto e dovete tutti adeguarvi alla mia integrità e completezza. Un’idea del genere è alla base di ogni conflitto, in esso è espresso il concetto moderno di integralismo. I peggiori dittatori hanno predicato la pace intesa in questo senso: perfino Hitler ha detto che la Germania aspirava alla pace ed erano gli ebrei a voler la guerra.
Qualcosa di simile sta avvenendo anche adesso. Ci viene detto che dobbiamo aspirare alla pace e nello stesso tempo che Israele, potenza coloniale, va cancellata. Si chiede una Palestina dal fiume al mare che significa una Palestina integrale, libera da ebrei.
2. C’è un secondo concetto di pace e di integrità. L’idea che siamo non integri, incompleti e imperfetti e dobbiamo fare di tutto per migliorarci e completarci. È l’idea che esprimiamo per esempio nella tefillà di Musàf dei giorni di festa quando diciamo “a causa dei nostri peccati siamo andati in esilio”. L’idea che siamo peccatori, imperfetti e che dobbiamo fare di tutto per migliorare noi stessi.
Ma esiste anche un’altra idea compresa in questo, l’idea che dobbiamo prendere atto degli errori del passato per costruire un futuro. Gli ebrei sono stati nella loro storia vittime in moltissime occasioni ma non si sono mai fossilizzati nel ruolo di vittime anzi, hanno sempre voluto guardare i propri difetti le proprie mancanze e soprattutto hanno avuto uno sguardo rivolto al futuro.
Questa è la pace per la tradizione ebraica, la capacità di completarsi riconoscendo i propri difetti e provando a costruire un futuro.

La guerra
La guerra è sempre una tragedia: è una tragedia per la perdita di vite umane e una tragedia perché si rischia di superare i limiti morali; ma le guerre, a volte, sono purtroppo necessarie.
Nella tradizione ebraica c’è il concetto di milchèmet mitzvà, guerra comandata da non confondere con la guerra santa. Le guerre non sono sante ma a volte possono essere comandate. Secondo la tradizione ebraica l’unica guerra comandata che vale ancora oggi è la guerra di difesa. Difendersi da un’aggressione non è solo permesso ma a volte è obbligatorio. Nel corso della storia gli ebrei hanno subito moltissime aggressioni a cui non avevano possibilità di reagire. Questo non significa che non abbiano reagito, in realtà hanno reagito in maniera straordinaria mantenendo con moltissimo coraggio il proprio ebraismo, conservando la propria identità, costruendo comunità e impegnandosi nell’educazione ebraica anche quando questo sembrava impossibile.
È stato un esempio straordinario di resistenza spirituale e culturale e per usare un termine oggi di moda di resilienza. Una resilienza che ci ha permesso di rimanere vivi in uno scenario di morte, di costruire un futuro quando sembrava che il futuro non ci fosse. Un verso dei Tehillìm dice: “Non morirò poiché vivrò”. La capacità invece di reagire all’aggressione spesso non c’è stata. Uno degli elementi più caratterizzanti del movimento sionista è stato proprio questo, il chiamare gli ebrei a reagire alle offese, a dimostrare, per usare le parole di rav Soloveitchik, che il sangue ebraico non è gratuito.
Questo è un limite ovviamente al concetto di pace perché non si può costruire la pace sull’annientamento di un popolo. L’idea di dover reagire all’aggressione è stata alla base della costruzione dello Stato d’Israele ma anche della reazione all’aggressione nazista nella Seconda Guerra Mondiale. Senza la possibilità di difendersi, l’idea di pace perde di senso.

Rav Alfonso Arbib, presidente dell’Assemblea rabbinica italiana