LA MEMORIA – Enrico Fink:
Guardare in faccia i carnefici
“Erano undici: riversi, in tre mucchi lungo la spalletta della Fossa del Castello, lungo il tratto di marciapiede esattamente opposto al caffè della Borsa e alla farmacia Barilari: e per contarli e identificarli, da parte dei primi che avevano osato accostarsi, era stato necessario rivoltare sulla schiena coloro che giacevano bocconi, nonché separare l’uno dall’altro quelli che, caduti abbracciandosi, facevano tuttora uno stretto viluppo di membra irrigidite”.
È la descrizione fatta da Giorgio Bassani in “Una notte del ‘43”, una delle sue “Cinque storie ferraresi”, dedicata a quello che è noto come l’Eccidio del Castello Estense: il massacro per mano fascista di undici civili (tra cui alcuni ebrei), la notte del 15 novembre del 1943, con l’obiettivo di vendicare l’uccisione del federale Igino Ghisellini. Nell’ottantesimo anniversario del massacro molte iniziative sono state messe in campo per non dimenticare, con il coinvolgimento tra gli altri della Comunità ebraica e del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah. In scena stasera alla Sala Estense, tra i vari appuntamenti, ci sarà lo spettacolo “Le tre notti del ’43”, scritto da Enrico Fink, che dà voce alle riflessioni e testimonianze del padre Guido Fink, di Bassani stesso e di Florestano Vancini, che dal racconto trasse un celebre film. “La parte difficile della Memoria”, sottolinea Fink, “non è ricordare le vittime, tributare loro onori, lapidi e commemorazioni; non è guardare con la ovvia, umana pietà i corpi di quei martiri sotto il muretto, davanti al castello”. La parte difficile, prosegue Fink, che ha origini ferraresi e dal 2020 guida la Comunità ebraica di Firenze, “è girare la cinepresa, così come avviene nel film, e guardare i carnefici e riconoscerli per quello che sono: i nostri”.