USA – Addio a Kissinger, 100 anni di diplomazia
Ha avviato l’apertura degli Stati Uniti verso la Cina comunista, negoziato la fine del conflitto in Vietnam, aiutato a calmare le acque con l’Unione Sovietica in uno dei periodi più tesi della Guerra Fredda. Henry Kissinger è stato uno dei politici più influenti del secondo Dopoguerra. La sua scomparsa a 100 anni ha riaperto il dibattito internazionale sulla sua figura, le scelte controverse, il segno lasciato nella politica estera americana. Primo segretario di Stato ebreo nella storia degli Stati Uniti, pilastro delle amministrazioni presidenziali di Richard Nixon e Gerald Ford, Kissinger rappresenta un personaggio importante anche per il mondo ebraico. Nato in Germania da una famiglia ebrea tedesca fuggita negli Usa a causa del nazismo, non dimostrò mai un forte legame con l’ebraismo. Secondo la biografia di Walter Isaacson, a un amico disse: “L’ ebraismo non ha alcun significato per me”. Dall’altro lato Kissinger ebbe un ruolo chiave per Israele, come ha ricordato il presidente dello stato ebraico Isaac Herzog. “La nostra nazione è ancora benedetta dai frutti dei processi storici da lui guidati, tra cui la creazione delle basi per l’accordo di pace tra Israele ed Egitto”, ha sottolineato Herzog, in un messaggio di cordoglio. “Nella nostra ultima conversazione, in cui gli ho augurato buon compleanno, mi ha detto: ‘Ricordati che ho sempre amato e sostenuto Israele, e sempre lo farò’”.
Descritto come un diplomatico freddo e calcolatore, Kissinger ha incarnato il concetto di realpolitik. Una visione del mondo, spiega Isaacson, condizionata dalla sua esperienza di giovane ebreo sotto il nazismo (aveva nove anni quando la famiglia fuggì dalla Germania). Secondo il biografo due erano gli approcci possibili alla luce di quell’esperienza: “uno idealistico e moralistico, dedicato alla protezione dei diritti umani; l’altro di realpolitik, diretto a preservare l’ordine attraverso equilibri di potere e la volontà di usare la forza come strumento di diplomazia”. Kissinger, scrive Isaacson, “scelse questa seconda strada”.
Braccio destro di Nixon, dovette subire i suoi commenti antisemiti, anche in situazioni delicate – come un incontro con il ministro degli Esteri egiziano Ismail Fahmi – in cui Nixon lo definiva “il mio ragazzo ebreo”. O peggio, lo accusava di doppia lealtà: in più occasioni quando Kissinger espresse la sua opinione sul Medio Oriente, il presidente replicò: “Ora, possiamo avere un punto di vista americano?”.
Fu però Kissinger a invitare Nixon a ignorare negli anni Settanta la questione dell’emigrazione degli ebrei dall’Unione Sovietica. “Non è un obiettivo della politica estera americana”, disse, aggiungendo “se in Unione Sovietica mettono gli ebrei nelle camere a gas, non è una preoccupazione americana. Forse è una preoccupazione umanitaria”. Nemmeno le forti pressioni dell’ebraismo americano per aiutare gli ebrei perseguitati dal regime sovietico smossero Kissinger. Anzi, nel 1972 l’allora Consigliere per la sicurezza nazionale liquidò la questione definendo la Comunità ebraica Usa come “egoista”.
L’anno successivo, durante la guerra del Kippur in cui l’Egitto sorprese Israele, fu Kissinger a gestire la crisi internazionale. Anche perché Nixon era alle prese con il Watergate mentre il suo vicepresidente, Spiro Agnew, aveva rassegnato le dimissioni per un altro scandalo. Nominato nel 1973 segretario di Stato Usa, Kissinger valutò con il Consiglio di sicurezza nazionale la richiesta di Israele di una nuova fornitura di armi. Washington diede il via libera, ma lo fece con ritardo. Tre anni dopo un ammiraglio della Marina Usa in pensione dichiarò al New York Times che Kissinger avrebbe deliberatamente ritardato la fornitura perché “voleva che Israele sanguinasse quanto bastava” per ammorbidire la strada alla diplomazia postbellica. Intervistato a riguardo dal Canale 12 israeliano per il suo 99esimo compleanno, il diplomatico negò categoricamente queste accuse. “Abbiamo fatto un passo enorme allora, che ha salvato Israele”, spiegò nel colloquio.
Sempre nel 1973 Kissinger ottenne il premio Nobel per la Pace per aver negoziato la tregua in Vietnam. Nel 1974 inaugurò quella che i media definirono la “shuttle diplomacy”: iniziò a fare la spola tra le varie capitali del Medio Oriente per ridurre le tensioni nell’area dopo il conflitto del Kippur.
La sua carriera in politica finì nel 1977 sotto l’amministrazione Ford, ma Kissinger mantenne la sua influenza e autorevolezza. Diversi presidenti americani nei decenni successi sono ricorsi ai suoi consigli. Rispetto alla sua eredità, in un incontro pubblico ad Harvard, l’università in cui aveva studiato, affermò: “Non me ne preoccupo. Non ci penso proprio, perché le cose sono così mutevoli. Si può solo fare il meglio che si è in grado di fare, e questo è ciò che giudico di me stesso: se sono stato all’altezza dei miei valori, qualunque sia la loro qualità, e delle mie opportunità”.