VIOLENZA DI GENERE –
La denuncia delle donne

“Dire che le dichiarazioni di Guterres sono inappropriatamente tardive è voler essere gentili. Già durante la Giornata Mondiale dei Diritti dell’Infanzia abbiamo visto quanto il mondo fosse pronto a dimenticare i bambini israeliani uccisi e rapiti degli attacchi del 7 ottobre. In quell’occasione la WIZO aveva cominciato a denunciare il silenzio sulle vittime degli attacchi terroristici che il 25 novembre si sarebbe prevedibilmente allargato sulle donne israeliane violentate e massacrate, come è avvenuto. In quel momento sarebbe stato opportuno per tutto il mondo ebraico agire compatto contro l’indifferenza. L’ADEI WIZO aveva pubblicato già il 24 novembre un’accorata denuncia di quella fredda consapevole dimenticanza, insieme a un appello di Anita Friedman, Chairperson WIZO, che unitamente alle federazioni WIZO nel mondo metteva, nero su bianco gli stessi concetti e gli stessi fatti che vengono rimarcati oggi. Ma occorre anche in Italia fare di più, bisogna mobilitare la società civile, è necessario che le Associazioni Femminili e le istituzioni stesse, con cui per anni abbiamo lavorato, prendano una posizione netta. Non possiamo più tollerare il silenzio.”

Sono parole di Susanna Sciaky, Presidente Nazionale dell’ADEI WIZO, l’Associazione Donne Ebree d’Italia, ossia una delle federazioni della Women’s International Zionist Organization, il movimento a-politico nato a Londra nel 1920 con l’intento di dare voce alle donne nel progetto che avrebbe portato alla nascita di Israele.

Le poche righe scritte da António Guterres su un social network il 30 novembre, dopo un’attesa di quasi due mesi (“Vi sono numerosi resoconti di violenze sessuali durante gli abominevoli atti terroristici di Hamas del 7 ottobre che devono essere indagati e perseguiti con determinazione. La violenza di genere deve essere condannata. In qualsiasi momento. Ovunque”) – sono arrivate dopo settimane di silenzio da parte degli organismi internazionali, e dopo che lo stesso Segretario Generale dell’ONU aveva fatto a Palazzo di Vetro altre dichiarazioni duramente contestate da Gilad Erdan, ambasciatore di Israele presso le Nazioni Unite. Erdan questa volta ha ipotizzato che il segretario generale stia solo cercando di placare la rabbia e ha aggiunto: “Quando si tratta di donne israeliane, si può dubitare e si può aspettare 60 giorni. Il segretario generale ignora gli atroci reati sessuali di Hamas, ma quando si tratta delle accuse di Hamas e del ‘Ministero della Sanità di Gaza’ contro Israele sulla situazione umanitaria nella Striscia, non ci sono dubbi e non sono necessarie indagini. Invito nuovamente il segretario generale a condannare inequivocabilmente Hamas per aver commesso crimini atroci e ad agire seriamente per avviare un’indagine contro Hamas.”

Simili per i contenuti ma di tono molto diverso sono le reazioni alle parole di Guterres arrivate da diverse iscritte alle comunità ebraiche italiane. Rispondono da Roma, da Torino, Milano, Genova e Trieste, che siano figure apicali nelle rispettive comunità, docenti universitarie, o che non abbiano alcun ruolo formale, il sentire è comune, così come comune è la richiesta di non essere nominate. Sono indignate, deluse, e molto arrabbiate: “Non penso di voler commentare, rischierei di diventare pesantemente offensiva”. “Mi vengono in mente solo volgarità! E poi perché chiedere a una donna? Non è sessismo anche questo? Un commento su questo argomento va chiesto a un uomo”, E, ancora: “Guterres è un uomo, e si vede. Se parlo dico cose che sicuramente non potreste scrivere. No, non sono disponibile, chiedere a una donna di occuparsene a me pare sia sessista”.

Centinaia di persone, intanto, si sono ritrovate ieri alle Nazioni Unite per una sessione speciale, guidata dalla Missione permanente di Israele con lo scopo di aumentare la consapevolezza sui crimini sessuali commessi durante gli attacchi di Hamas del 7 ottobre tra la rabbia per il silenzio sulla questione. “Il 7 ottobre Israele ha subito il massacro più brutale dall’Olocausto; le atrocità sono state più barbare di quelle dell’Isis, alcuni dicono più di quelle dei nazisti. ha dichiarato Erdan – Le famiglie sono state bruciate vive, i bambini uccisi davanti ai genitori e i genitori assassinati davanti ai loro figli. Hamas ha usato gli stupri come arma di guerra”

Nelle stesse ore un appello alle associazioni femministe sta dando voce alla sofferenza, alla rabbia e al disagio. Sara Levi Sacerdotti, Assessore alla cultura della comunità Ebraica di Torino – insieme al suo presidente, Dario Disegni e alla presidente UCEI Noemi Di Segni, primi firmatari – ha come obiettivo primario rompere il fronte del silenzio: né le organizzazioni internazionali né le associazioni femministe, con pochissime eccezioni, riconoscono le violenze e le umiliazioni subite dalle donne israeliane il 7 ottobre. Perché le donne israeliane non sono state solo massacrate, sono state violentate con ferocia brutale, sono state umiliate, spogliate e portate in parata come un trofeo di cui vantarsi. Morte, o ancora vive, per poi essere tenute ostaggio. Di molte di loro non ci sono notizie. È stato femminicidio di massa e un crimine di guerra.

“Oggi a gran voce chiediamo ai gruppi femministi di sottoscrivere pubblicamente l’appello dell’associazione ‘Paroles de femmes’ apparso sul quotidiano Libération, ossia di riconoscere che nell’attacco condotto da Hamas contro Israele il 7 ottobre c’è stato anche un femminicidio di massa” si legge nell’appello “A due mesi di distanza dall’attacco, con donne e bambini ancora nelle mani di Hamas e con prove evidenti che l’orrore è stato premeditato, soprattutto nei confronti delle donne, non abbiamo ancora sentito alcuna associazione femminista pronunciarsi pubblicamente, chiaramente ed esplicitamente per il riconoscimento di quello che è successo. Abbiamo sentito molti ‘se’ e molti ‘ma anche’, abbiamo sentito molti appelli all’equidistanza, ma nessuno si è espresso chiaramente per le donne violate il 7 ottobre, a partire dalle Nazioni Unite”.

Nel frattempo sono nati siti e hashthag per denunciare la gravità della situazione, #meetoounlessurajew (ossia #MeToo a meno che tu sia ebreo/a) ne è solo un esempio tra i più diffusi. I firmatari dell’appello si chiedono quale possa essere il futuro delle donne ebree per i gruppi femministi: “Non c’è posto per loro?“. E anche: “che credibilità ha un’associazione femminista che non riconosce come fattor comune indiscutibile e univoco un femminicidio di massa, forse il peggiore degli ultimi tempi?”

Per dare la propria adesione all’appello scrivere a: info@torinoebraica.it

a.t.