LA TESTIMONIANZA – Gli ebrei di Djerba:
dalla festa alla paura in poche ore (seconda parte)
Il nuovo Sefer Torah è stato portato anche nella casa dei parenti delle due vittime dell’attentato di quest’anno, per dare loro un po’ di sollievo e consolazione. La mattina successiva in albergo, dopo la tefillah, mentre ero sotto la Succah, ho chiesto a una delle 250 persone che erano venute dalla Francia per festeggiare Succoth per quale ragione avesse portato i propri figli in un posto che si è dimostrato così pericoloso (e che è ancora sporco di sangue), specialmente considerando le tendenze antisioniste del nuovo presidente tunisino Kaïs Saïed che coglie ogni occasione per accusare Israele – anche del ciclone Daniel che fra il 4 e il 12 settembre ha devastato la Libia e tanti altri paesi del Mediterraneo. “Vivi questa situazione come un paradosso?”, ho chiesto al giovane francese. “Ci devo riflettere”, mi ha risposto. Ma credo che questo tipo di situazione sia per noi ebrei abbastanza universale: viviamo sempre con la nostalgia dei luoghi nei quali noi e i nostri genitori siamo nati, luoghi amati in cui spesso non è consentito ritornare.
Quella sera mi è stato confermato che per la prima volta in 2.000 anni nella sinagoga della Ghirba non sono stati celebrati né Rosh haShanah né Kippur. Per motivi di sicurezza e perché il trauma di maggio era ancora fresco. Un insegnante mi ha spiegato che per tutto questo nuovo anno non si pregherà alla Ghirba, anche perché gli ebrei non si fidano del nuovo presidente. Non lo temono, ma non si fidano. Ieri sera invece gli ebrei di Djerba erano contenti non soltanto perché questa è una festa in cui è importante essere felici (ve Samanta be Hagheha). Ho visto bambini per strada giocare, cantare, e suonare la darbuka (tamburo). Ho visto nelle case che hanno ospitato il Sefer Torah tavolate piena di cibo delizioso offerto a tutti gli ospiti. Ho visto le donne vestite molto eleganti e colorate, e gli uomini cantare con devozione e fede. Nella via di fronte alla yeshiva si festeggiava anche mangiando per strada spiedini, pizza e dolci. I miei amici mi hanno invitato a casa perché preferivano consumare il pasto in Succah.
Ho poi chiesto all’organizzatore Rene Trabelsi, ex ministro del turismo tunisino, che ha il gruppo di ebrei francesi e anche alcuni americani in visita, in che modo hanno superato la paura di venire a Djerba. Mi ha risposto che le cose a Lag Baomer avrebbero potuto andare peggio: si è trattato di un solo soldato armato che ha ucciso tre soldati e due ebrei. Mi dice che gli ebrei non hanno paura dei civili. Ma dei soldati che dovrebbero difenderli sì, hanno paura, perché potrebbero usare le proprie armi contro i civili indifesi per motivi di odio e di fanatismo contro di loro e contro Israele.
Stasera è la vigilia di Oshana Rabba e la gente di Djerba prega durante la notte nelle sinagoghe. Noi resteremo in albergo: sotto la grande Succah ascolteremo la lezione del rabbino e pregheremo nell’hotel. Da quando è arrivata la notizia del massacro in Israele la gente qui è molto tesa e preoccupata. A colazione con voce dimessa, figli piccoli e moglie accanto, un nuovo amico mi dice che la vacanza è finita. La moglie resta in silenzio, molti fanno colazione in stanza. In molti non ritorneranno, per paura di mettere a rischio le proprie vite e quelle dei loro figli. Un altro amico mi dice “ma perché continuano a restare qua i 1.500 gerbini?” L’assistente che è musulmana risponde: “L’amore per le radici e per la terra supera la paura”. Nonostante tutto abbiamo “festeggiato” Simcha Torah con bambini e neonati, con giovani, adulti e anziani. Molti hanno ballato. Ma la sera il ristorante era quasi vuoto, in tanti hanno mangiato in stanza. In serata apprendo che il ministro degli Interni ha ritirato le armi che erano in possesso dei soldati a Djerba perché il governo teme che i militari stessi possano entrare nel quartiere ebraico della Hara e fare un massacro. Ora la situazione è notevolmente peggiorata e gli ebrei vivono con paura. Una paura accompagnata però anche da fede e speranza. La tensione aumenta per via del conflitto in Medio Oriente. Ma quest’anno erano già successe tante disgrazie a Djerba: un orefice ebreo è stato falsamente accusato di contrabbandare oro. È stato portato alla polizia con questo pretesto. I commercianti dell’Hour Souk hanno chiuso i negozi per protesta e per farlo rilasciare.
Il presidente Kaïs Saïed ha dichiarato che coloro che hanno contatti con Israele saranno considerati spie di Israele e incarcerati per un minimo di cinque anni. Grazie a pressioni internazionali sembra abbia fatto un passo indietro. Più volte il presidente si è schierato apertamente contro Israele, facendo crescere la paura fra gli ebrei tunisini. Ebrei che continuano a sperare di poter presto emigrare in Israele. Qualcuno mi ha detto che preferisce morire in Israele piuttosto che in Tunisia.
David Gerbi, psicologo e psicoanalista junghiano